“Dolodi” e lo smarrimento dell’uomo contemporaneo

dolodi-zandonaiSi incontrano, a volte, libri che hanno tutto un mondo dentro. “Dolodi” (Zandonai, 2011) è uno di questi. Ambientato in un luogo non-luogo, senza nome né coordinate, popolato da figure sfuggenti e talvolta inquietanti, il romanzo postumo di Stelio Mattioni trasporta il lettore in una dimensione sospesa dove il protagonista, Emilio, sembra giocare un gioco le cui regole sono note a tutti meno che a lui.

Dopo il fatidico incontro con il vecchio e ambiguo Dolodi, “un uomo in età, ancora vivace e pieno di umori”, la vita di Emilio e di sua moglie Giuliana non sarà più la stessa. Anzi, pare quasi che non siano mai vissuti prima, che esistano solo dal momento in cui Dolodi li irretisce nel suo piano misterioso. L’uomo, ormai sull’orlo della rovina economica, convincerà infatti lo sprovveduto Emilio ad acquistare la sua grande casa sull’Altipiano, a pochi metri dal confine nazionale.

Se dapprima Emilio pensa si aver trovato la casa dei sogni, il cui panorama incanta almeno quanto le parole e le promesse di Dolodi, ben presto l’abitazione assume le sembianze di un nemico, qualcosa di estraneo che rifiuta i suoi ospiti: “È assurdo, ma si direbbe che questa casa non ci voglia…”. Lo stesso Dolodi comincerà a parlarne “come se non fosse quello che era, un’abitazione, o se vogliamo una proprietà, ma quasi l’espressione di una volontà autonoma e astratta, di una tirannia a cui lui non aveva saputo sottrarsi a tempo”.

A rendere ancora più sgradevole la vita sull’Altipiano concorrono l’isolamento, l’ostilità velata della gente del luogo e, in un certo senso, del luogo stesso: “L’Altipiano è bello, ma ha una severità che respinge (…). È bello, ma sgomenta. (…) è subdolo, non dà fiducia, istiga a stare attenti a dove si posano i piedi, fra l’erba e negli anfratti, in cui si annidano le vipere, a diffidare del fiore di un colore che mette tenerezza, ma che è meglio non toccare. Ora: è vita, in un posto simile?”

Ma è soprattutto la presenza di Dolodi a inquietare e irritare Emilio. Il vecchio infatti è riuscito, con scuse e raggiri, a restare nella casa, occupando una delle stanze. I suoi comportamenti sopra le righe e le sue frasi sibilline spingeranno Emilio sull’orlo della paranoia. Egli è ossessionato dall’impressione di “un imminente pericolo che si stringeva come un laccio intorno a loro e alla casa”. Vedrà materializzarsi le sue paure quando, insieme alla moglie, si renderà conto che i paletti che segnano la frontiera si fanno, incredibilmente, ogni giorno più vicini alla sua proprietà.

Si avvera, quindi, la profezia di Dolodi, che è anche una confessione:“Sei uno degli ultimi pezzi sulla scacchiera della partita che ho giocato (…); in ogni caso, sappi che ti stai muovendo in uno spazio sempre più ristretto, che a ogni passo che fai sei minacciato dalla torre e dal re”.

Proprio come lo spazio fisico abitato da Emilio si rimpicciolisce sempre di più, occupato da estranei e stranieri, anche la sua dimensione interiore sembra restringersi e collassare, man mano che vede svanire le sue certezze e i suoi punti di riferimento. Sopraffatto dalla sensazione di essere all’oscuro di quanto sta avvenendo, egli si ritrova solo, “seminato per strada” anche da Giuliana. La donna, infatti, appare cambiata: “in quel luogo e in quella casa che erano l’opposto di quelli in cui era vissuta”, scopre “una se stessa che non conosceva”, allegra, curiosa, sensuale e, soprattutto, aperta al mondo.

Ammaliata da un senso di libertà mai vissuto prima, Giuliana giunge a credere che “se c’è qualcosa a questo mondo di cui ci si può infischiare, è proprio dei confini e di quello che hanno la pretesa di rappresentare”. Sarà smentita dall’amaro epilogo, nel quale si fa tangibile il senso di smarrimento e di oppressione dell’uomo di fronte a meccanismi ciechi, più grandi di lui, ineluttabili. Unico conforto, per Emilio e Giuliana, sarà l’essersi ritrovati, il sentirsi pronti a cominciare una nuova vita insieme. Una nota di speranza che addolcisce appena lo sguardo disincantato di Mattioni sul mondo.

Stelio Mattioni (1921-1997), triestino, ha trascorso l’intera vita nella sua città natale lavorando presso una raffineria, prima come impiegato poi in qualità di dirigente, e coltivando parallelamente la passione per la scrittura. Scoperto da Roberto Bazlen, dopo l’esordio letterario con il romanzo “Il sosia” (Einaudi, 1962) ha pubblicato tra la fine degli anni sessanta e i primi anni ottanta cinque volumi per la casa editrice Adelphi che lo hanno collocato di diritto tra i più originali e dotati scrittori italiani. Ha collaborato, come giornalista e sceneggiatore, a giornali, riviste e radio, e preso parte attivamente alla vita culturale della propria città. La sua “Storia di Umberto Saba” (Camunia, 1989) rimane tuttora la migliore biografia del grande poeta triestino. “Dolodi” è il suo terzo romanzo postumo.

Autore: Stelio Mattioni
Titolo: Dolodi
Editore: Zandonai
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 15 euro
Pagine: 124