Intervista a Giorgio Fontana. “Per legge superiore”

perlegge-superioreÈ la giustizia, e il modo in cui la intendono gli uomini, al centro di “Per legge superiore” di Giorgio Fontana (Sellerio), romanzo che mette in luce le ombre, il dilemma delle scelte, spesso l’inadeguatezza dei fatti a spiegare le colpe e giudicare i colpevoli.

Senza gli eroi granitici di certe fiction, ma con un’umanità che appare persa, minuscola, incapace di grandi azioni. Protagonista, il sostituto procuratore Roberto Doni, magistrato di destra appartenente alla buona borghesia milanese. Uomo sobrio, che “mangia in bianco”, il sessantenne Doni si trova a dover scegliere tra la giustizia dei fatti e la legge superiore dei valori, in un’indagine che vede un muratore tunisino sul banco degli imputati.

Perché la giustizia è sempre di più tema letterario?
“Per una ragione storica e cronachistica, motivata dai fatti politici degli ultimi anni. Ma la giustizia è un tema universale: indagare colpevolezza e innocenza sono temi che solleticano sempre. Spesso negli ultimi anni giudici, investigatori e pubblici ministeri, con alterni risultati, hanno splancato una finestra su questo mondo, affascinante perché fa parte del quotidiano e interviene direttamente nel giudicare il bene e il male. Io però volevo fare una riflessione intima sulla giustizia, attraverso il percorso di questo personaggio mediocre verso la legge superiore.”

Doni è un uomo a un bivio, un borghese annoiato di cui vengono sgretolate di colpo le certezze: come è nato questo personaggio?
“Volevo fare in modo che la sua piccola crisi etica interiore fosse massimizzata da alcuni elementi, come l’essere un borghese che quando si avicina alla scelta di sacrificare la certezza per un bene superiore vacilla. Doni è un uomo rigoroso ma piccolo. Tutto questo serviva a rendere più tragica la situazione, più pesante la scelta.”

Doni dice al suo ex professore che l’avvocato e il giudice raccontano solo versioni dei fatti che non troveranno mai davvero, che sono già tutti accaduti e persi…
“La giustizia con la G maiuscola è affare di Dio, trascende l’umanità. Per Doni la giustizia è la più ragionevole approssimazione a determinate leggi, in nome di come viene giudicato il bene secondo delle convenzioni sociali. Ma questo modo di ragionare, in fondo un po’ meschino, viene messo in crisi dai fatti, che lo portano a cercare valori superiori.”

Sempre Doni: “Il disincanto è l’unica teoria in grado di spiegare gli esseri umani”.
“Doni pensa che gli esseri umani non siano cose belle e per questo parla di disincanto. Pensa che nella vita bisogna far quadrare i conti ed essere ligi alle regole e niente più. Un atteggiamento che viene anche da rapporto conflittuale con la figlia, ma in realtà è come se cercasse sempre di essere smentito.”

Con questo libro torni in via Padova, che avevi raccontato nel reportage narrativo “Babele 56” (Terre di Mezzo): perché ancora l’immigrazione?
“Anche l’immigrazione è un elemento strumentale, legato alla figura di doni, che odia gli immigrati e ne ha quasi schifo anche a livello sensoriale. Questo rende ancora più complessa per lui la scelta, nel giudicare il presunto reato che si attribuisce al giovane tunisino. L’immigrazione a Milano, da sempre città di immigrati, è la realtà dell’Italia: una risorsa economica fondamentale e una cosa importante a livello sociale.”

Nel tuo libro ricorrono bellissime immagini di Milano, tra malinconia e dolcezza: come hai visto cambiare la città?
“Ho cominciato a vivere Milano quando molti dicevano che era una città in decadenza, triste e vuota, una macchietta di se stessa incapace di reagire. Ma anche grazie agli ultimi impulsi politici ora ha tante possibilità di rinascita. E’ una città gelosa della sua bellezza, va scoperta piano e a piedi, non ti butta lo splendore in faccia come Roma o Parigi. Una città arcigna ma anche dolce, amabile, sincera: ti spara subito in faccia i suoi difetti, ma non ti frega.”

Il palazzo di Giustizia di Milano è descritto come un luogo fragile, tenuto insieme da chiodi.
“Sì, il luogo che più dovrebbe sostenere se stesso è retto da chiodi a espansione: la giustizia come fragile, fatta di un palazzo lento, formale, cupo. E però alla fine, quando Doni legge l’iscrizione sulla facciata del palazzo, acquisisce un significato più ampio, una maggiore solidità: “Sia fatta giustizia, qualunque cosa accada”.”

“Non c’è certezza a questo mondo” scrive Fontana in una delle ultime pagine del libro. “Ma per ognuno che perderete, io ne salverò un altro”.

Giorgio Fontana è nato nel 1981. Ha pubblicato i romanzi “Buoni propositi per l’anno nuovo” (Mondadori), Novalis (Marsilio), il reportage “Babele 56” (Terre di Mezzo) e il saggio “La velocità del buio” (Zona). Vive e lavora a Milano.

Autore: Giorgio Fontana
Titolo: Per legge superiore
Editore: Sellerio
Anno di pubblicazione: 2011
Pagine: 245
Prezzo: 13 euro