“Il figlio segreto del duce”: Benito Albino Mussolini

il-figlio-segreto-del-duceIn “Il figlio segreto del duce” (Garzanti, 2006) Alfredo Pieroni ci racconta una storia davvero avvincente. Ma questa appassionante inchiesta non si limita ad una indagine: essa innesca volontariamente  il dubbio nel lettore. Restano, del resto, tutt’oggi aperti inquietanti interrogativi sulle misteriose morti di Benito Albino Mussolini e di Ida Dalser, “colpevoli” di essere presenze “scomode” per il “duce”.

Ma chi era Ida Dalser? Ida Dalser era una bella donna nata a Sopramonte, paesino  non lontano da Trento, di semplici origini ma di forte temperamento che era riuscita a farsi da sé, a studiare nella cosmopolita Parigi e a creare al suo ritorno in Italia una propria attività, un Salone di Bellezza. Era in sostanza una donna che si stava realizzando. Ida Dalser ebbe però la sfortuna di incontrare nel suo cammino un uomo e di innamorarsene follemente, un uomo che allora non era il personaggio influente che sarebbe divenuto negli anni a venire ; quell’uomo era Benito Mussolini. Ida Dalser non sapeva che quell’amore l’avrebbe uccisa.

La storia fra il futuro capo del fascismo, già all’epoca spregiudicato politico, e la Dalser fu la storia, ampiamente documentata dall’autore, di una passione corrisposta ma contraddittoria. La Dalser avrebbe dato la vita per Mussolini, vendette tutti i suoi beni e si rovinò per lui quando ancora non era diventato l’uomo più potente d’Italia, gli diede anche un figlio, Benito Albino. Ma quando Mussolini scelse Rachele come donna della sua vita la Dalser non si rassegnò alla fine di quella passione. Cercò poi con ogni mezzo di far valere i suoi diritti, di avere da quell’uomo per cui si era rovinata di che sfamare loro figlio. Lo gridò al mondo, il mondo la riconobbe come pazza.


Ida Dalser era diventata una figura  scomoda
che avrebbe potuto metter in cattiva luce l’ormai potentissimo Duce. La Dalser andava “levata di torno“. Iniziava così l’odissea della donna che, pur sana di mente, veniva rinchiusa per ordini superiori in vari ospedali psichiatrici fino al punto  che, stremata, vi trovò la morte nel 1937. Il “fato” o il caso volle che la stessa sorte toccasse a Benito Albino qualche anno più tardi. Anche di lui bisognava nascondere al mondo l’esistenza: per Mussolini anche il sangue del suo sangue andava “fatto sparire“. Possiamo considerarlo un caso che anche Benitino sia morto in manicomio? E per giunta che in quel manicomio di Mombello vi ci venisse rinchiuso per proprio volere ancora minorenne  sulla base di una richiesta che da minorenne non poteva farsi?

Ora nessun dubbio sull’esistenza della loro storia, del resto si sa che di amanti Mussolini ne ebbe svariate. Nessun dubbio sulla paternità di quel figlio poiché, nonostante i tentativi fatti per cambiargli nome ed allontanarlo dalla pubblica piazza, è provato che Mussolini lo riconobbe pochi giorni dopo la sua nascita. I dubbi che lascia aperti questa inchiesta di Pieroni sono altri. Mussolini davvero sposò la Dalser? Ci sono testimoni che giurano di si, ma nessuno ne ha le prove. Ma gli interrogativi più atroci sono altri, sono quelli che riguardano la fine che la donna e il giovane Benito Albino fecero in separata sede ma in circostanze tragicamente simili: entrambi morirono in manicomio. Pazzi non erano ma chiunque sano di mente e rinchiuso in un ospedale psichiatrico lo sarebbe probabilmente divenuto.

Delitti di regime? Ci dice Pieroni: “I delitti che ebbero per vittime i due Dalser, madre e figlio, hanno una caratteristica in comune: c’è il movente (l’eliminazione di due persone scomode), però mancano gli autori e le prove (perché gli esecutori sono troppo numerosi e disparati, e quello che hanno fatto sembra casuale, persino necessario, ma non probatorio). In qualche modo potrebbero essere definiti “delitti collettivi”. Sarebbe una definizione ambigua, anche se pertinente, perché i delitti collettivi sono per lo più di natura politica. Può sembrare strano per l’uccisione di una povera donna e di un ragazzo innocente di qualsiasi colpa, ma si trattò di due delitti di regime.

Un volume in cui ogni pagina è pervasa dal dubbio e dalla sensazione che “i tentacoli del regime dittatoriale” sarebbero potuti arrivare ovunque.

Alfredo Pieroni, trentino, ha lavorato per cinquant’anni al “Corriere della Sera”, di cui è stato uno dei giornalisti di punta. E’ autore di decine di inchieste e di libri, tra i quali : Chi comanda in Italia (1959); L’affare Profumo (1968); Dizionario degli italiani che contano (1986); Perché le sinistre non vinceranno mai più a meno che (1996).

Voto: 8
Titolo: Il figlio segreto del duce
Autore : Alfredo Pieroni
Editore: Garzanti
Anno di Pubblicazione: 2006
Prezzo: 14 euro
Pagine: 139