“La mia scuola è il mondo”: parla Anna Mahjar Barducci

La mia scuola è il mondoUn libro a quattro mani, per provare a immaginare una scuola che sia davvero strumento d’integrazione. E con una co-autrice molto speciale: Anna Mahjar Barducci, infatti, ha scritto La mia scuola è il mondo (Edizioni Melagrana 2013) con sua figlia Hili, classe 2009.

La piccola Hili è sia illustratrice sia protagonista del libro, che racconta la sua esperienza di bambina italo-romena di quattro anni nella scuola italiana, con compagni di origini diverse: da Renato, brasiliano, a Mohammad, nato in Italia da genitori afghani, ad Alice, mamma italiana e papà statunitense. Un libro “ideato” proprio da lei, come racconta Anna Mahjar Barducci: “Hili un giorno mi ha chiesto perché nelle favole che le leggevo non ci fossero bambini di diverse provenienze. Mi sono quindi accorta che i libri italiani per l’infanzia non hanno sviluppato una narrativa interculturale”.

Quali sono le principali lacune?
I libri per insegnare l’italiano come seconda lingua ai bambini non fanno sentire il bambino che sta apprendendo l’idioma parte della società italiana. Il protagonista che insegna l’italiano ha sempre la carnagione bianca e entrambi i genitori italiani. Il bambino di colore è di fatto automaticamente classificato come straniero. Nelle fiabe per bambini, pubblicate in Italia, i protagonisti sono solo bianchi. I bambini di colore si trovano soltanto nelle collane dedicate alla mondialità. Non esistono inoltre figli nati da matrimoni cosiddetti “misti”. Infine, i protagonisti dei libri non hanno mai una “doppia” cultura. Sono solo italiani, o solo – per esempio – senegalesi.

Come è stato “lavorare” con sua figlia Hili?
Hili è molto orgogliosa dell’uscita del suo primo libro. Ha scelto lei i colori per le illustrazioni e ha deciso che volto dovessero avere i personaggi disegnati. Ho pensato che mia figlia di quattro anni fosse la persona più adatta per giudicare un libro per l’infanzia. Se piace a lei – mi sono detta – ci sono buone probabilità che possa piacere anche ad altri bambini.

Ha vissuto in Pakistan, Italia, Israele: che differenze nell’integrazione a livello scolastico in Paesi tanto diversi?
Il Pakistan e Israele sono due paesi dove il concetto di laicità non è stato ancora sviluppato. Pertanto, se devo paragonare l’Italia al Pakistan o a Israele, il nostro Paese è sicuramente più avanti nell’integrazione scolastica di bambini di diverse fedi. Israele, però, essendo un paese di immigrazione ebraica proveniente da diverse latitudini, ha sviluppato programmi per l’integrazione scolastica di bambini che non parlano ebraico nelle scuole. In Italia, invece, non essendoci fondi, spesso si preferisce mettere il bambino straniero, che ancora non parla bene l’italiano, in una classe inferiore, facendogli perdere anni scolastici.

Come giudica la situazione italiana dal punto di vista dell’integrazione scolastica?
Credo che in Italia l’editoria, i media e la politica debbano cominciare a contribuire all’azione educativa della scuola, promuovendo una società multietnica ed eliminando gli stereotipi. Il problema però è che i media e la politica sono rimasti ancorati a modelli identitari che non esistono più, per cui un ragazzo con gli occhi a mandorla che vive a Prato dalla nascita (nella città toscana risiede una delle comunità cinesi più grandi in Europa, ndr), dovrebbe parlare per forza con la “l” al posto della “r”, e crea invece stupore il fatto che abbia la tipica “c” toscana. C’è ancora molto lavoro da fare, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni. Nonostante le ricerche sulla multiculturalità, non è stata applicata una pedagogia interculturale nelle scuole. Si aggiunge, poi, il problema della mancanza di finanziamenti per insegnanti di sostegno nelle scuole per ragazzi immigrati, che ancora non parlano bene l’italiano. Infine, un dibattito serio deve essere affrontato sullo Ius soli. Come scrive nella prefazione del libro il Ministro degli Affari Regionali, Graziano Delrio, se non venisse cambiata la legge sul diritto di cittadinanza, nel 2029 ci sarebbero 2 milioni di minori nati in Italia, ma considerati stranieri.

Cosa pensi della scuola italiana in questo senso?
La soluzione all’incomprensione reciproca è l’integrazione, che non è assimilazione come molti confondono, ma è l’omogeneizzazione delle popolazioni nella diversità della religione e della cultura d’origine. La costruzione di questo sentimento dovrebbe essere uno dei compiti della scuola, che però deve ritrovare il proprio ruolo sociale. Gli immigrati di ogni fascia d’età possono trovare nel caso dei corsi serali accoglienza e imparare la lingua, acquisendo così i primi mezzi essenziali di inserimento sociale. Mentre alle seconde generazioni, la scuola offre l’opportunità di interagire con i propri coetanei.  Nell’incontro personale ravvicinato si sviluppa, infatti, il senso della comune appartenenza all’umanità: crescono empatia, amicizia, solidarietà, nascono amori. Ma per giocare un ruolo di rilievo nella formazione delle future generazioni, la scuola deve seguire un obiettivo di formazione di cittadinanza attiva. Solo in questo modo si può costruire il senso di appartenenza di un giovane figlio di immigrati.

Come ha vissuto Hili la sua appartenenza a mondi e Paesi tanto diversi (Italia, Romania, ma anche i nonni di origini marocchine, ucraine, italiane…)?
Mia figlia ha amiche i cui genitori provengono entrambi da Paesi diversi, quindi non si sente un caso unico. Per me, è importante farla crescere in un ambiente multilingue e che cresca come una persona cosmopolita. Come accenno anche nell’introduzione del libro, spero che mia figlia, crescendo, possa far tesoro del proprio patrimonio culturale e che faccia suo il pensiero dell’educatore italiano Aldo Capitini: “Le frontiere vanno superate, e la parola ‘straniero’ è da considerare come appartenente al passato”.

Cosa consiglia ai genitori italiani e non per favorire l’integrazione e l’interazione culturale fin da piccoli?
L’ambiente familiare – con la scuola – è il luogo dove il bambino forma la propria educazione. È quindi importante che i genitori favoriscano l’integrazione dei propri figli nella società e che educhino al rispetto dell’Altro esponendo il bambino a diverse culture, a diverse cucine, a diverse musiche… e cercare, quando possibile, di viaggiare. Credo che questa esposizione sia un modo per allargare gli orizzonti del bambino e fargli capire che l’Altro in realtà non è poi così diverso da lui. come dice il comico franco-marocchino Gad Elmaleh, “l’Altro – dopotutto – Sono Io”.

Anna Mahjar Barducci, giornalista e scrittrice italo-marocchina, è cresciuta tra l’Italia e l’Africa. Ha vissuto a lungo in Pakistan, dove ha studiato. La mamma è musulmana, il padre cristiano e il marito ebreo. È Presidente dell’Associazione Arabi Democratici Liberali, che ha sede a Roma. Ha scritto “Italo Marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa” (Diabasis 2009) e “Pakistan Express – Vivere (e cucinare) all’ombra dei talebani” (Lindau 2011).

Hili Carmon, classe 2009, è nata a Gerusalemme da Anna Mahjar Barducci e da padre nato in Romania e cresciuto in Israele.

Autore: Anna Mahjar Barducci – Hili Carmon
Titolo: La mia scuola è il mondo
Editore: Melagrana
Pubblicazione: 2013
Prezzo: 10 euro
Pagine: 31