È difficile trovare qualcuno che non abbia mai sentito il nome di Franco Basaglia, lo psichiatra che spese la propria vita affinché i “malati di mente” venissero curati secondo criteri più rispettosi della loro dignità di persone, e che fu il padre della Legge 180 del 1978 con la quale i manicomi cessavano di essere luoghi di esclusione dalla società e venivano sostituiti da strutture “aperte”, prive di costrizione e contenzione, attrezzate per cercare di ristabilire un contatto tra paziente e società. Ma il libro di Alberta Basaglia, figlia di quello psichiatra e psicologa ella stessa, non è semplicemente un omaggio alla memoria del padre, ma una riflessione intelligente e toccante sul significato del pensiero e dell’opera di quanti, assieme a lui, concepirono quella “svolta”, nonché uno stimolo per il lettore a “guardare in modo diverso” alla materia per poterla “vedere meglio”.
Si tratta di un’idea originale, derivante dalla personale condizione dell’autrice, ipovedente dalla nascita a causa di una grave e rara patologia, costretta per vedere le cose a piegare la testa in modo da “guardare di sottecchi”. La Basaglia trasforma quindi la sua personale tecnica di percezione della realtà in una metafora, e lo dice chiaro e tondo: “di sghembo si ha un punto di vista diverso da quello “normale”.
Per meglio evidenziare questo concetto, l’autrice racconta di quando da bambina le venne chiesto da una compagna, con il candore dei bambini, perché guardasse “per storto” e lei, nel gelo degli adulti circostanti, sempre così attenti alle convenienze da divenire falsi, rispose con prontezza e pertinenza “perché così ci vedo meglio”.
Il libro si sviluppa in una serie di capitoli brevi ma intensi, ciascuno dei quali costituisce una “flashata”, a cominciare dal primo in cui, bambina di un anno assolutamente incurante di parlare al punto da preoccupare i genitori, osservando gli alberi dopo un lungo temporale esclamò “quante foglie gocciolanti” per poi restare in silenzio ancora per lunghi mesi, denotando però grande capacità di attenzione e di riflessione.
E ancora, più avanti, quando racconta di come prese a rettificare pian piano la posizione della propria testa avendo compreso che “quando non ti accorgi che ti stai guardando c’è un attimo in cui riesci a vederti proprio come gli altri ti vedono” esprime uno dei concetti-chiave della psicoterapia e della psicologia costruttivista.
Non mancano peraltro capitoli di riflessione ulteriore, dove l’autrice si interroga sulla sorte di quei soggetti che non riuscirono ad adattarsi alla vita “fuori” dal manicomio, fuori dalla routine reclusiva, e sull’umano rifiuto di tanti individui “sani”, come ad esempio i bambini, di certe caratteristiche degli individui “pazzi”.
Ma il racconto delle storie di tante internate, riemerse da vecchie cartelle cliniche, conferma l’opinione che la logica dei manicomi pre-legge 180 (lontano dagli occhi, lontano dal cuore) letteralmente uccideva le vite “escluse e ignorate”, e che quindi è assolutamente necessario proseguire sulla strada aperta dal padre.
Malgrado si legga benissimo al punto da poterlo esaurire d’un fiato, è il caso di soffermarsi sulle riflessioni che il libro stimola quadro per quadro, che sicuramente aiuteranno a comprendere la genesi di una legge che comunque divise l’opinione pubblica del tempo, ma anche a guardare con un occhio più consapevole e maturo alla “malattia mentale” e soprattutto alla vita di quanti ne sono colpiti, che comunque “vita” è e deve restare.
Titolo: Le nuvole di Picasso
Autrice: Alberta Basaglia
Editore: Feltrinelli
Anno: 2014
Pagine: 91