Il museo immaginato

il-museo-immaginato-philippe-daverio-350x486Il lettore che si trovi anche solo per caso a sfogliare le pagine di Il museo immaginato dell’eccentrico Philippe Daverio (Rizzoli vintage, 2012) si renderà presto conto che non si tratta dell’ennesimo libro di teoria museale e nemmeno di una critica al sistema italiano di valorizzazione dei beni culturali. L’autore preferisce piuttosto vestire i panni dell’anfitrione e guidare il suo “ospite” nelle dodici sale che compongono la sua immaginaria casa-museo, arredata con dipinti scelti dalle diverse epoche storiche, il cui criterio di selezione non segue alcun dogma storico, bensì il personalissimo gusto dell’autore e padrone di casa.Il visitatore si imbatte, così, in maestosi dipinti storici, quale il Giuramento degli Orazi di David (1784), nella Biblioteca, ma anche in deliziosi e accattivanti quadri di genere, come la Fruttivendola del meno noto Vincenzo Campi (1580), appeso alla parete della Cucina. Ad ogni sala, dall’Anticamera al Giardino, corrisponde un capitolo, ad inizio del quale l’autore (di suo pugno?) ha schizzato una piccola piantina dell’ambiente in cui si sta “entrando”. Il lettore dismette i suoi panni, per vestire quelli dell’ospite.

Nella Camera della Musica ci si trova davanti a numerosi dipinti aventi per tema la musica, mentre quelli appesi nella Sala da pranzo rappresenteranno nature morte di frutta e cene pantagrueliche, eppure mai si percepirà alcuna banalità nella scelta delle opere d’arte, per via della distanza stilistica e cronologica che intercorre fra esse. La scelta dei dipinti delle Camere da letto è quanto mai eterogenea: dalle Adorazioni dei Magi di Dürer e Tiziano (rispettivamente 1504 e 1559-60) si passa a opere più moderne e conturbanti come L’origine del mondo di Courbet (1886) in cui il più intimo segreto del nudo femminile è sfacciato e schietto. Non mancano, inoltre, sale di intonazione anticheggiante, quali il Pensatoio, il Grand Salon e la Grand Galerie e neppure il Giardino nel quale sorge una piccola chiesetta padronale. In questi due ambienti il visitatore si trova ammaliato dalla frivola bellezza dell’ Altalena di Fragonard (1767) prima, intimorito dalla solennità dell’ Altare di Isenheim di Grünewald (1512-16) poi.

Se tali premesse possono restituire l’idea di un libro di gusto decadente e di un autore dandy-esteta, ciò che Daverio scrive nel capitolo A mo’ di prefazione fa immediatamente capire la profonda modernità che informa questo libro: «ogni curiosità che la consultazione vi potrebbe sollevare, potrà facilmente trovare risposta interrogando la nuova sibilla sapiente che è l’internet.» Allo stesso modo, egli invita il lettore a scaricare dal web le riproduzioni dei dipinti (naturalmente ad alta risoluzione), di ingrandirle e muoverle con il mouse, in modo da osservarne i piccoli dettagli, spesso non individuabili a occhio nudo. Daverio insegna così anche a osservare un dipinto, azione che nessun manuale di storia dell’arte, per quanto completo ed esaustivo, possa insegnare. Le poche ed essenziali informazioni di carattere storico e stilistico sono funzionali esclusivamente alla completa fruizione dell’opera d’arte: la data di esecuzione del celebre dipinto di Van Eyck, i coniugi Arnolfini (1432), ricorda al lettore come l’ossessione per il dettaglio sia un’urgenza parimenti condivisa dal pittore fiammingo e dal moderno pittore realista, nonostante i secoli che li separano.

E il punto, il quid del Museo immaginato è proprio questo dialogo fra antico e moderno, in cui l’antico è osservato dall’occhio del contemporaneo e raccontato dalla voce di chi sa e non insegna, ma racconta una bellissima favola storica. Perché i nudi femminili erano conturbanti nell’ottocento come lo sono oggi e il padrone di casa colloca nella propria stanza personale l’ Odalisca bionda di Boucher, seducente nel 1752 come nel XXI secolo. La storia legata a ciascun dipinto è raccontata in maniera leggera, accattivante e mai imprecisa, con l’ironia “croccante” (per usare un termine caro all’autore) di un personaggio che spiega senza mai salire in cattedra.

Il Museo immaginato non è quindi un libro di “Storia” ma di “storie” dell’arte, un manuale di interiorizzazione del bello e del brutto, con lo scopo di formare nel lettore-visitatore quello spirito critico che lo porterà a crearsi la propria collezione d’arte seguendo il proprio gusto. Senza dubbio dopo questo tour virtuale in casa Daverio il lettore avrà uno slancio diverso una volta che si troverà ad osservare un dipinto esposto nella sala di una pinacoteca: «vi garantisco che non lo guarderete solo dieci secondi».

Philippe Daverio è nato nel 1949 a Mulhouse, in Alsazia. Vive a Milano ed insegna, come docente incaricato, al Politecnico e allo IULM ed è professore ordinario alla Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo. Dirige la collana Art e Dossier ed è autore delle trasmissioni TV Passepartout e Il Capitale.

Autore: Philippe Daverio
Titolo: Il museo immaginato
Editore: Rizzoli (Collana Vintage)
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 352 ill. , brossura
Prezzo: 19 euro