“…con noi si comporta come un estraneo…”. Laurent Daguerne nel libro “La preda“ di Irène Némirovsky (Adelphi 2012) così commentava il comportamento del proprio figlio Jean – Luc, giovane uomo dal cuore arido molto ben tratteggiato dall’autrice nel suo ultimo romanzo.
In una piovosa e fredda domenica sera di novembre del 1932 nel villino dei Daguerne che sorgeva nella parte settentrionale di Le Vésinet, alla periferia di Parigi, nel salotto il capofamiglia leggeva in poltrona perché era uno di quegli uomini “che si sentono a proprio agio solo nell’astrazione”.
All’interno del tetro, solido e brutto villino di mattoni gialli la moglie Mathilde cuciva in silenzio meditando sul deterioramento fisico del consorte e sul figliastro ventitreenne Jean – Luc. “È difficile tirar su il figlio di un’altra”. I giovani Daguerne, Claudine, sedici anni e José dodici erano isolati da “un muro invisibile” che circondava i loro corpi e isolava i sensi dal resto del mondo”. I passi di Jean – Luc invece già lo avevano portato lontano nella capitale, dove il ragazzo abitava durante la settimana. “A Parigi!”. Quella stessa sera Jean – Luc si trovava in un salottino segreto di un modesto ristorante a margine del parco Montsouris insieme alla ventenne Edith dal “volto imperioso e delicato” figlia del banchiere Abel Sarlat. Gli innamorati “si guardavano avidamente, senza un sorriso”, felici di stare insieme. L’incanto che provavano entrambi era “l’immagine più vicina alla felicità che era dato loro di conoscere”. Jean – Luc desiderava sposare Edith non solo perché ne era innamorato ma perché era una ragazza ricca e di buona famiglia, un perfetto trampolino di lancio per placare quell’ambizione sorda che lo aveva preso. Diventare genero di Sarlat quindi per “inseguire quel mondo che aveva in mano il potere” e diventare come il banchiere “guardiano del denaro e della libertà”. Il giovane aveva dimenticato le ultime parole del padre: “L’ambizione, il calcolo… per queste cose c’è tempo”. Jean – Luc testardamente era deciso a farsi valere nel mondo a tutti i costi, anche a quello di soffocare la sua gioventù pur di avere accesso a quel favoloso mondo “che dispensa tutti i beni della vita”. In Europa e a Parigi nell’autunno del 1933, però in seguito alla crisi economica iniziata nel ’29 a Wall Street “l’intelligenza veniva venduta a salari da fame”, quindi “il futuro di Jean – Luc si prospettava tutt’altro che roseo”.
La Proie scritto nel 1936 fu pubblicato negli ultimi mesi del 1938 sulla rivista Gringoire di stampo antisemita. Mentre la minaccia nazista si faceva ogni giorno più concreta, Irène Némirovsky tracciava la figura di un uomo che anelava alla ricchezza, al potere con ostinazione e testardaggine non rendendosi conto che il destino che lo attendeva, con queste premesse non poteva che essere tragico, frustrante e crudele. La profonda acutezza e sensibilità di un’autrice del calibro della Némirovsky si rivela nella descrizione lucida della società dell’epoca, e qui la scrittrice non fa sconti a nessuno. Se “quelli che erano venuti prima avevano obbedito a un solo padrone, il denaro”, ora per la gioventù che presto avrebbe combattuto nella II Guerra Mondiale “il padrone era il potere”. Se il mondo non aveva null’altro da offrire e passioni e ideali erano di conseguenza spenti, non restava altro che “la crudele e fredda passione di far carriera, camuffata con ogni sorta di nomi e di etichette ideologiche”.
Nei romanzi di Irène Némirovsky i personaggi amano, vivono, soffrono in un’atmosfera che sa già di sconfitta e il lettore non può far altro che palpitare con loro. Ecco come si perde la gioventù del protagonista giacché “la giovinezza è un vino pregiato che di solito si beve in un bicchiere da due soldi”. Non c’è speranza e né redenzione come se l’autrice, di origine ebraica, in qualche modo presagisse la sua tragica morte ad Auschwitz nel 1942. Simbolici, infatti, i versi di un poeta elisabettiano che Laurent Daguerne sfoglia con tenerezza, contenuti in un volumetto inglese dalla logora copertina: “La mia anima, come una nave nella burrasca, è trascinata verso ignoti abissi”.
Irène Némirovsky nacque a Kiev, in Ucraina l’11 febbraio 1903 da una ricca famiglia ebraica e sin dalla propria adolescenza iniziò ad appassionarsi alla letteratura. Il padre, di origini francesi, era uno dei più potenti banchieri russi dell’epoca. Quando scoppiò la Rivoluzione Russa nel 1917, tutta la famiglia Némirovsky abbandonò San Pietroburgo per rifugiarsi in Francia, dove la scrittrice trascorse anni felici fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il suo primo romanzo David Golder ottenne un grande successo. Nel 1926 sposò l’ingegner Michel Epstein e da quest’unione nacquero due figlie. Quando l’antisemitismo si fece sempre più minaccioso, Irène decise di farsi battezzare insieme alle proprie figlie ma nonostante ciò fu arrestata nel luglio del 1942 e deportata nel campo di concentramento di Auschwitz, dove morì di tifo un mese dopo. La stessa sorte toccò al marito, gasato appena giunto nello stesso campo di sterminio, nello stesso anno. I libri di Irène Némirovsky sono tutti pubblicati da Adelphi. Citiamo Il ballo (2005), Suite francese (2005), David Golder (2006), Jezabel (2007), I Cani e i lupi (2008), Il calore del sangue (2008), I doni della vita (2009), Due (2010), Il malinteso (2010), Il vino della solitudine (2011), Il signore delle anime (2011), I falò dell’autunno (2012). Nel 2012 per Castelvecchi Editore è uscito Nascita di una rivoluzione.
Autore: Irène Némirovsky
Titolo: La preda
Editore: Adelphi
Pubblicazione: 2012
Traduzione: Laura Frausin Guarino.
Prezzo: 18 euro
Pagine: 212