Occhi chiusi: intervista a Giulio Massobrio

occhi-chiusi-newtonOcchi chiusi” di Giulio Massobrio (Newton Compton, 2012) è il primo romanzo dello storico piemontese e ha come protagonista Stefano Piazzi “commissario di polizia malvisto dal questore”, poliziotto durante la II Guerra Mondiale e poi partigiano “in una divisione Garibaldi”. “Alessandria è una città da niente, circa centomila abitanti. […] Una città piena di caserme e chiese, dove le prostitute e i preti fanno affari d’oro”.

Questa storia inizia in primavera” nel Piemonte del 1961 quando si stanno per celebrare i primi Cento anni dell’Unità d’Italia in una nebbiosa città di provincia “banale, noiosa, dove non succede mai nulla. Almeno allo scoperto”. In “una tetra mattina di aprile” l’architetto Augusto Cammei viene trovato morto “seduto su di una panchina di ferro a doghe verdi”, ucciso da “un colpo di stiletto al cuore, come nel Medioevo”. L’assassino ha chiuso gli occhi alla sua vittima e ha lasciato appeso al collo del cadavere un cartello con scritto in stampatello “Cammei, il primo”. L’architetto sarà dunque il primo morto per mani assassine di una futura serie di omicidi che scuoteranno nel profondo la comunità borghese cittadina di Alessandria.

Il delitto è stato premeditato, non è il frutto di un impeto, di un attacco di rabbia”. Segreti e bugie inconfessabili, reticenze insospettate e verità che non devono venire a galla circondano come una nebbia, la città piemontese che nasconde e cela ipocrisia e falsità. La “bella villa in periferia” dell’architetto assassinato piena di oggetti d’arte e di cose che non valgono nulla, “una sorta di grande bazar pieno di meraviglie e di cose ignobili, apparentemente mischiate a casaccio” non è altro che una rappresentazione, “uno specchietto per le allodole” giacché per Piazzi tutto è “disposto ad arte per fornire un’immagine falsa del padrone di casa. Cammei si celava dietro a questa immagine”.

Piazzi, al quale piace dire ai suoi subordinati “Buona caccia”, sa che solo osservando con attenzione “vengono fuori le piccole vergogne nascoste, i non detti gelosamente celati”. È dunque dalla villa dell’architetto che il commissario “un bolognese magro come un picco, alto e dinoccolato. Sembrava un inglese” deve partire per dissipare la nebbia che fa compagnia all’esistenza quotidiana degli alessandrini. “D’inverno ad Alessandria fa molto freddo. Se non nevica, piove o c’è nebbia, o entrambe. L’estate è invece così calda e umida che non si tira il fiato”. Il lavoro del commissario sarà però ostacolato dal comportamento dell’onesta e operosa borghesia della città che dietro le finestre scruta le mosse del poliziotto. “In questa città è praticamente impossibile mantenere un segreto”.

Un esordio notevole e di classe quello di Giulio Massobrio che presenta ai lettori la figura di Piazzi “un po’ Montalbano, un po’ Maigret” come recita la fascetta che accompagna il romanzo. Il poliziotto dalla “memoria prodigiosa” è perfettamente incastonato in una trama assolutamente non banale nella quale giocano un ruolo fondamentale l’atmosfera e l’accurata ricostruzione storica di una città e di un’”Italia democratica nata dalla Resistenza” protesa sì verso l’imminente boom economico ma ancora troppo legata ai fantasmi della recente guerra civile combattuta in Italia nel periodo 1943/45. “Un brivido corre lungo la schiena del commissario al pensiero di un assassino che chiude gli occhi della sua vittima”.

Lui ha bisogno di muoversi con calma, osservando, toccando, annusando”. Dottor Massobrio ci descrive in poche parole la personalità del commissario Piazzi? “Piazzi è una persona che ha vissuto intensamente. È attento alle sfumature ma schivo, segue dei fili logici tutti suoi. Ha bisogno di riordinare le idee e si fida molto della sua memoria. Sembra svagato, perfino disattento, ci sono delle volte che sembra veramente che si stia muovendo in maniera quasi casuale. Il fatto è che lui si arrabbia tantissimo, è una persona che si indigna, viene offeso dalla violenza, non sopporta quelli che fanno finta di non vedere, in una certa misura è un moralista. Qualche volta il commissario fa però lo spaccone e crede di essere spiritoso… ma non gli riesce tanto bene in realtà. Nei rapporti umani è uno che s’innamora, ma è anche uno che si lascia amare, e questa è una cosa che mi piace molto del personaggio… Piazzi non segue le regole. All’inizio del romanzo si dice che Piazzi non è né fascista né antifascista. È chiara la sua scelta di campo ma la cosa per lui più importante è che quello che avviene sia fatto su una base di un’idea di giustizia. Questa è la cosa che forse preme al commissario più di tutto. Se non c’é, si offende e si scandalizza. Vive ogni situazione come un fatto personale. Questo è Piazzi, credo… ”.

Per tracciare l’impianto del romanzo ha tratto ispirazione da uno o più autori di gialli polizieschi che l’hanno maggiormente colpita? “Ispirazione diretta no, indiretta sì, nel senso che dei tanti scrittori che ho letto ne ho tre o quattro che mi piacciono tantissimo, per esempio Fred Vargas. Adoro quel personaggio surreale che è il commissario Adamsberg, mi affascina per questo suo vedere due realtà contemporaneamente: quella materiale e quella no. Mi piace anche Francisco González Ledesma, un signore molto anziano che ha vissuto la Guerra Civile Spagnola Di lui mi piace questa Barcellona che è un po’ sottotono ma è la Barcellona vera piena di storia. Mi piace Camilleri ma soprattutto Montalbano che considero un prototipo irraggiungibile, un modello straordinario. Montalbano non è un personaggio letterario ma è un personaggio vivo. Ciascuno di noi ha conosciuto nella sua vita un Montalbano e magari ci sarebbe piaciuto essere come lui”.

Nel testo emerge la società italiana degli anni Sessanta attraverso il comportamento degli alessandrini la cui “vita è scandita dalla sirena della Borsalino, tutti i giorni dell’anno”. Che cosa è cambiato da allora nella mentalità dei suoi concittadini e in quella del resto del Paese? “Gli alessandrini pensano di essere unici ma avevano comportamenti che si ritrovavano in tutte le città della provincia italiana. In realtà ora la città è cambiata rispetto agli anni Sessanta, per esempio non ci sono più le caserme piene di soldati, l’industria é quasi sparita, la Borsalino si é spostata fuori città. Quello che è cambiato è quello che è cambiato nel nostro Paese. In negativo vi è una caduta del senso di identità, di appartenenza, di conseguenza non c’è più l’ottimismo degli anni Sessanta. Allora si pensava che il progresso sarebbe stato infinito. È morto il senso della comunità che dava sicurezza. In compenso Alessandria ora è una città più aperta di prima. Le bolle di cui parlo all’inizio del libro ci sono ancora oggi, ma sono più trasparenti. È una città in cui le libertà sono state conquistate una per una, faticosamente. Ma non siamo ancora in Europa, siamo ancora tutti provinciali. I giovani nell’Italia del ’61 si stavano preparando a cercare di cambiare molte cose nel Paese e pensavano davvero che il mutamento fosse prossimo. Ora quello che vedo è un pessimismo giovanile che noi non avevamo. Noi credevamo (nel 1961 avevo terminato la terza media) davvero che alla fine il mondo sarebbe stato in mano nostra e l’avremmo fatto più bello di quello che era”.

Perché ha scelto di ambientare la prima indagine di Piazzi nel 1961, anno nel quale si celebrava il primo centenario dell’Unità d’Italia? “Mi sono sempre occupato di storia e di musei, ho organizzato mostre. Chi si occupa di storia da una parte ha la mentalità, anche se non lo ammetterebbe mai, del poliziotto. Come Piazzi lo storico cerca la verità o più verità, delle spiegazioni che diano un senso agli accadimenti. Quindi la scommessa era riuscire a raccontare un’epoca, un periodo, un anno, il 1961, anno importante perché si festeggiavano i cento anni dall’Unità d’Italia. Raccontarlo per tutte quelle persone che non avevano vissuto quei momenti e scriverlo proprio nel 2011 centocinquanta anni dopo l’Unità d’Italia. Ho scelto il 1961 perché in questa mia mania da storico iniziare a scrivere un romanzo con una data simbolo era tranquillizzante”.

Secondo una recente indagine Istat, nel 2011 poco meno di 26 milioni di italiani hanno letto almeno un libro (il 45,3% della popolazione). In questo periodo di crisi economica alcune città e alcuni lidi hanno lanciato iniziative tra gli ombrelloni per invogliare i villeggianti alla lettura. (1) Qual è il suo pensiero? “Credo che l’educazione sia la base dello sviluppo. Ritengo che bisogna educare al senso della bellezza che si è perso quasi completamente. Le scuole devono restare sempre aperte, così come i musei. Tutto il nostro sistema educativo deve diventare un sistema di esperienze condivise tra i cittadini. Quindi tutte le iniziative che vanno in questa direzione, di qualsiasi tipo, anche molto semplici, anche nate sotto l’ombrellone o per strada, sono esperienze che fanno vivere meglio. Il benessere delle persone e delle società non sta solo nella crescita del prodotto interno lordo ma sta nella qualità della vita. Tutto ciò che va nella direzione del miglioramento della qualità della vita io credo sia estremamente positivo. Di questo è convintissimo anche Piazzi. Questo fa si che una società viva meglio”.

Le avventure del poliziotto da Lei creato avranno un seguito? “Spero di sì… sto lavorando a una seconda avventura di Piazzi. Vediamo come va il primo libro e poi l’editore deciderà… ”.

(1) Pesaro: Biblioteche fuori di sé, Cervia; La spiaggia nel libro, Misano Adriatico (Rimini): Libri A Mare, Rimini: Alibib: leggere in spiaggia, Follonica (Grosseto): Prendi il sole e leggi un libro, Mezzocorona (Trento): La biblioteca fuori di sé estate 2012, Cilento (Salerno): La letteratura favorisce l’abbronzatura, Certaldo (Firenze): Leggere d’estate, Milano: Dentro chi legge. 10 sale di lettura in musei e biblioteche aperte anche la domenica e a Ferragosto fino a settembre. (Fonte Kafka sulla spiaggia boom di biblioteche tra gli ombrelloni. Irene Maria Scalise – La Repubblica 26 luglio 2012).

Giulio Massobrio, storico, si è occupato di storia militare e napoleonica, sanitaria e sociale. In questo periodo si dedica alla progettazione e alla teoria museale. È curatore e responsabile della realizzazione del Marengo Museum Alessandria ed è Presidente dell’Associazione culturale La Città delle Vittorie. Vive ad Alessandria.

Autore: Giulio Massobrio

Titolo: Occhi chiusi

Editore: Newton Compton

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 9,90 euro

Pagine: 284