Bolaño postumo

i-dispiaceri-del-vero-poliziottoChe le trame nei romanzi di Bolaño (ecco un lascito postumo dal titolo “I dispiaceri del vero poliziotto”Adelphi) siano se non elusive tutt’altro che lineari, indifferenti a un’idea ortodossa del plot (benché si tratti di storie, sia chiaro, di personaggi che non smettono di chiacchierare, scopare, congetturare, spostarsi da una parte all’altra del mondo) è noto.


Ed è un piacere difficile da spiegare; ha qualcosa a momenti dello stordimento. Anche quando siamo lontani, come nel caso di questo libro “ricostruito” a posteriori, dalla vertigine di 2066. Non veri intrecci ma storie dentro storie che si diramano verso direzioni sconosciute. Le voci dei personaggi di Bolaño arrivano (e vanno) da tutte le parti, spostando di continuo il centro della narrazione. Il lettore ha la tentazione di scorrere il libro all’indietro – gli pare che sia una possibilità intrinseca al romanzo. Non come succede a un banale gioco metaletterario (pure presente) ma perché ha sempre la sensazione di essersi perso qualcosa. Si domanda anche se il loro universo sia simile al suo, per dire, di lettore risucchiato in una spirale senza fine.

Ma sono personaggi dei quali è detta – e anzi insistita – la dimensione carnale, corporea, persino virulenta. E i luoghi che attraversano, nonostante quanto detto prima, non sono immaginari. Il Messico confinante con gli Stati Uniti in cui è costretto a rifugiarsi Amalfitano, il professore di letteratura che come altri personaggi rimbalza da un altro libro di Bolaño, il capitale 2066, è adatto a cifrare, come un iper-luogo, il regime di possibilità aperto e mai concluso di queste storie. Spazi in cui più che abitare, i personaggi stazionano il tempo di immaginarne altri: sono crocevia di fughe, rincorse, nuovi inizi, coincidenze, ma anche perdite, esclusioni – e drammi oscuri. Come se chi li attraversa fosse più consapevole degli altri comuni mortali che la vita che vi conducono non è solo temporanea, ma una fra le tante possibili. In questo senso i personaggi di Bolaño sono letterari al quadrato. La consapevolezza che la loro vita avrebbe potuto essere un’altra è una seconda pelle. Difatti Amalfitano la vede completamente rivoltata da un’occasione più che imprevista: scoprirsi omosessuale a cinquant’anni. E vizioso assai, tanto da essere espulso dall’università di Barcellona con l’accusa di aver imbarcato nel proprio letto stuoli di giovani.

Allontanatosi dal mentore Padilla ( poeta e amante esuberante, teorico baldanzoso di una classificazione del poeti in froci, checche, e altre distinte connotazioni) in Messico il nostro se la vedrà con un falsario. Ed è una delle poche certezze di cui il lettore può disporre. Che per il resto, si tratti di Amalfitano o della figlia Rosa, del misterioso Arcimboldi, pure lui ivi catapultato da 2066, tutti sembrano voler entrare e uscire da questo – per giunta non finito – e altri libri del geniale cileno a dispetto del lettore.

I dispiaceri del vero poliziotto è stato concepito alla fine degli anni ‘80 e lavorato a più riprese dall’autore, recuperato dal suo computer assieme ad altre pagine dattiloscritte, provato a restituire “filologicamente” (ma la parola è problematica trattandosi di Bolaño) dall’editore e dalla vedova Carolina López. Bolaño pare vi credesse profondamente, benché ne definisse la trama come “demenziale”. Per lui non si trattava di finire, a lui interessava lo svolgimento. L’utopia di un romanzo senza fine – l’unico modo di non considerare di cattivo gusto il sogno dell’immortalità.

Chi però non ha ancora letto Bolaño, vada a cercarsi il citato 2066 e Detective selvaggi. Quello vero è lì.

Autore: Roberto Bolaño

Titolo: I dispiaceri del vero poliziotto

Editore: Adelphi

Traduzione di Ilide Carmignani

Pagine: 304

Prezzo: 19 euro