Due libri d’inizio Novecento e qualche tratto in comune. “Denaro“ di Charles Peguy e l’”Esegesi dei luoghi comuni” di Leon Bloy, entrambi editi per Piano B edizioni, ci danno la possibilità di aprire una domanda. Si può prendere da un autore ciò che più ci piace e lasciare in disparte il resto? La risposta sembra scontata (ovvio che sì!) ma nel mondo tutt’altro che acuto delle lettere non lo è.
Perché si tende ancora a liquidare tizio o a venerare caio sulla base di sentenze assolute e tifoserie che li piazzano da una parte o dall’altra come se fossero per forza di cose o maestri o ignobili rappresentanti dell’umanità (il che non è detto che non capiti ma non credo sia il modo migliore di frequentare la letteratura).
Così, per esempio, si può tenere molto da conto la pars destruens di un pensiero e non condividere di una virgola la pars construens dello stesso.? Senza con questo essere affiliati a una scuola, un’ideologia, una cricca? Senza con questo assumere un principio – si sarebbe detto alcuni anni fa – decostruzionista per far dire a un testo ciò che non aveva nessuna intenzione di dire?
Prendiamo per esempio due libri da usciti poco. L’editore, Piano B. Possiamo ben dire – e lo fa nell’introduzione al libretto Alessandro Miliotti – che nell’Esegesi dei luoghi comuni di Leon Bloy la serie ascrivibile al mondo preso di mira dall’eccentrico scrittore (borghesia, denaro, affarismo, cinismo, ipocrisia) venga messa in questione da un’escatologia cattolica che assegna a parole come povertà, dolore, espiazione il ruolo salvifico della contesa. Un lettore tutt’altro che sensibile a questo genere di spiritualismo non ha diritto di dimenticarlo, ma può leggere con interesse e piacere – sì piacere – la critica feroce mossa dallo scrittore francese al mondo borghese. Cosa che in questo testo scritto proprio negli anni a cavallo fra fine ‘800 e inizi del ‘900, fa prendendo l’abbrivo da una serie di “luoghi comuni” appunto, frasi fatte e idées reçues su cui si era già esercitato il grande Flaubert. Che poi chiedere conto a una società come quella francese (sarebbe stato lo stesso e peggio con quella italiana) del suo sedicente cattolicesimo mentre si spartiva le ricchezze africane con le altre nazioni europee era pure il minimo da parte di uno scrittore siffatto, o no?
Un regesto minimo? “Non stiamo al mondo per divertirci” poteva dire un borghese pasciuto al poveraccio di turno. E aggiungere: “I soldi non fanno la felicità”, avendone a sufficienza, ovvio, e soprattutto confortato dall’amico di banchetto che sornione postillava “ma aiutano”. Del resto, gli veniva facile sorovolare sulle disgrazie del mondo in quanto – e chi lo nega – “non si può pensare a tutto”, specie se si hanno parecchi affari in proprio cui pensare; e poi, per carità, i vangelo andava benissimo ma mai dimenticare di “stare al passo coi tempi”.
I tempi erano quelli che a scuola studiamo come “età dell’imperialismo” – Leon Bloy li attraversa con una penna caustica, a tratti geniale, ossessiva, cosa che non può dirsi di un altro scrittore francese, cattolico anche lui ma partito dal socialismo romantico, C.Peguy, che pochi anni dopo, nel 1913, darà alle stampe L’argent (Denaro).
Il titolo e il tema del libretto convergevano in un assunto chiaro e incontestabile: il mondo era ridotto a uno scambio di merci, in cui il denaro la faceva da padrone, divinità che aveva sostituito le precedenti e aveva ridotto le relazioni umane a una turpe condizione utilitaristica.
Certo, in Peguy il moralismo ha un’aria bacchettona della serie “non c’è più religione, il popolo non è più quello di una volta, gli operai non hanno più voglia di lavorare, prima si faceva la fame ma la gente era allegra e non come oggi che tutti protestano da tutte le parti signora mia…” e tutto suona un po’ stucchevole, e paternalistico nei toni, che son privi dell’esasperazione di Leon Bloy ma anche del suo gusto paradossale, illuminante anche quando non ne condividi una virgola – non di rado divertente. Peguy associava la borghesia mercantile ai suoi oppositori politici, i sindacalisti rivoluzionari e materialisti: perché entrambi privi di sentimento. L’ingenuità persino dichiarata e ostentata dall’autore, il suo antimodernismo didascalico spiegano perché in fondo sia rimasto ai margini delle storie letterarie, significativo più come un sintomo d’epoca che come uno scrittore interessante di per sé. In ogni caso, salutiamo un’altra piccola realtà editoriale di qualità: Piano B(envenuta).
Leon Bloy
Piano B 2011
Esegesi dei luoghi comuni
pag 178
euro 11,90
Charles Péguy
Denaro
Piano B 2011
pagine 96
Euro 10,00