Non abitiamo più qui

non_abitiamo_piuquiNon abitiamo più qui” (Mattioli 1885), trittico di racconti leggibile come un romanzo non lineare, è stato tradotto in italiano nel 2009 ma vale la pena parlarne ancora (peraltro si tende a fare con i buoni libri quello che si fa con il resto: si butta via tutto in fretta e si passa ad altro, la qual cosa denota che non si è capito nulla proprio della letteratura, che se ne infischia della cronaca e quando è buona lavora su tempi lunghi e oltre – altrimenti perché dovremmo ancora leggere Eschilo o Petronio?

Tutto il resto è mercato, ossia un’altra cosa, e ogni tanto vale la pena ricordarlo.

Non pochi lo considerano uno dei migliori scrittori americani del ventesimo secolo, Andre Dubus, almeno della seconda metà. Almeno di short stories. A chi scrive, queste classifiche non procurano grandi emozioni. Dubus sì. Uno scrittore non certo spettacolare, lontanissimo dagli effetti speciali, che siano quelli delle trame o quelli della scrittura. Dubus è uno scrittore sobrio, e terribile. Scrittore di cose quotidiane, banali e verissime, necessarie quanto inevitabili.

Storie normali e amare di rapporti coniugali fallimentari, di vie di fuga, di illusioni, di tradimenti, di gelosie e rimorsi più o meno convinti. E crolli inevitabili, soprattutto. Un grande ermeneuta di personaggi comuni, di gente che mette a rischio il proprio equilibrio e quello domestico perché non sa rinunciare non tanto al sesso come potrebbe sembrare a prima vista, quanto a un minimo di vitalità all’interno della relazione coniugale. Che non c’è, e quindi. Dubus è uno scrittore di quelli empatici senza essere patetici, di quelli severi senza il gusto delle cattiverie gratuite. Mai compiaciuto, mai su se stesso ma sempre sui personaggi. Raccontati per lo più in prima persona.

Nella traduzione, egregia, firmata da Nicola Manuppelli (che è anche il curatore del volume), e da Gian Fulvio Nori, leggiamo un libro dunque che si dipana in tre racconti, legati fra loro da protagonisti comuni – personaggi che ritornano sempre, alle prese con le loro vite qualunque del Massachusetts. Si amano o ci provano, le corna si sprecano e le bugie pure. Al peggio, le due coppie di amici le mogli se le scambiano – sono “vite in bilico”, prossime a salvarsi per vie di compromessi come a perdersi definitivamente; soprattutto sono raccontate tenendo il passo di un ritmo domestico che è quello stesso dell’esistenza. Sono spaesati questi personaggi, ma anche rassegnati a se stessi. Vorrebbero amare, vorrebbero essere amati. Vivi, comunque, con tutta la plasticità e il senso di “verità” che ci attendiamo da figure che vadano oltre la natura fantasmatica delle parole. Amava Cechov, Dubus, e l’amico Richard Yates, altro grande scrittore di relazioni impossibili giocate tutte nell’angustia del quotidiano (e qualcosa del bellissimo Revolutionary Road si sente in queste pagine).

Sono stati tratti film dai libri di Dubus, senza che l’uomo si appassionasse troppo alla cosa. Che fosse uno scrittore serio, difatti, lo testimonia il distacco che nutriva rispetto all’eventuale successo commerciale dei suoi libri – se vi avesse pensato troppo, diceva, avrebbe smarrito la libertà necessaria per guardare alle cose con occhi sinceri. Di Andre Dubus è in arrivo, per la prima volta in italia, un romanzo, l’unico che ha scritto. Il tema del tradimento, pare, ancora al centro della storia. Lo aspettiamo con trepidazione.

Andre Dubus (1936-1999) è universalmente riconosciuto come uno dei migliori narratori americani del Ventesimo secolo. Maestro nell’arte della short story o romanzo breve, Dubus è stato anche saggista, biografo e sceneggiatore, aggiudicandosi svariati premi letterari. Da questa raccolta è stato tratto il film di John Curran I giochi dei grandi, con Mark Ruffalo, Naomi Watts, Peter Krause e Laura Dern, vincitore del Sundance Festival.

Autore: Andre Dubus
Titolo: Non abitiamo più qui
Editore: Mattioli 1885
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 18 euro
Pagine: 274