Intervista a Michele Petrucci

bandagrossi-tunueQuesta settimana proponiamo un’intervista concessaci da Michele Petrucci, autore de “Il brigante Grossi e la sua miserabile banda” (Tunuè, 2010): un breve viaggio dentro il talento di un autore italiano ed un’occasione per tornare a parlare di unità nazionale.

Innanzitutto volevo sapere come nasce l’idea di raccontare le gesta di una banda criminale attiva nel tardo 1800: immagino che la scelta sia strettamente legata alla sua terra di origine, ma mi chiedevo se ritiene che Terenzio Grossi sia  stato e/o sia ancora un personaggio noto al popolo marchigiano.
“Probabilmente il motivo è legato alla forte personalità di Terenzio Grossi e al suo carattere di perdente votato alla sconfitta che da sempre mi affascina. Il coraggio, anche. Mentre normalmente i briganti si coprivano il volto per non farsi riconoscere, lui andava e gridava il proprio nome in segno di sfida. La banda Grossi, ho scoperto in seguito, è ancora popolare nella mia provincia. Molti mi hanno raccontato episodi legati più alla leggenda che alla storia, narrati da propri nonni.”

Quanto tempo ci è voluto per progettare il fumetto e da quanto lo ha in mente? I festeggiamenti per il 150esimo anno di unità sono stati un ostacolo o hanno invece reso più facile la pubblicazione?
“Di solito dopo aver scritto un breve soggetto aspetto almeno un anno per vedere se ancora l ´idea mi convince. Poi mi servono un anno o due per la realizzazione. Quando ho iniziato non pensavo ai 150 anni, ma questa ricorrenza sta aiutando molto me e il mio editore (Tunue´) nella promozione.”

Prescindendo un attimo dalla storia, ho trovato Il brigante Grossi una vera gioia per gli occhi: è la prima volta che leggo una sua opera, è abituato a tingere di bianco i volti dei suoi personaggi o si è trattato di una scelta dettata da motivazioni particolari? Trovo che gli ambienti (aridissimi eppure raccontati con una consistente varietà di colori) siano realmente protagonisti nel fumetto: si tratta di luoghi che ha visitato?
“Il fumetto racconta di un momento di forte cambiamento in Italia e ho sentito che anche io avevo bisogno di cambiare stile, è per questo che ho usato per la prima volta il colore. Quella dei volti bianchi è stata una scelta istintiva. Ho visitato tutti i luoghi che ho disegnato, è una cosa che faccio sempre se posso: mi aiuta a capire l´atmosfera che si respirerà.”

Sono un appassionato di Cinema e leggendo il suo lavoro non ho potuto fare a meno di pensare ad un capolavoro quale Allonsanfan dei fratelli Taviani o al recentissimo Noi credevamo di Martone: due film molto diversi ma accomunati dalla stessa voglia di approfondire la conoscenza di alcuni eventi apparentemente noti ai più, andando ad osservare senza paura eventuali zone d’ombra. Volevo chiederle se conosce questi film e se esiste qualche altra opera letteraria/cinematografica che abbia contribuito a formarla e l’abbia spinto ulteriormente a raccontare una piccola contro-storia del Risorgimento italiano.
“Ho evitato riferimenti di questo tipo. Ho solamente seguito il saggio Vera storia della banda Grossi di Monsagrati e Uguccioni. Mi sono ovviamente documentato sulla storia del brigantaggio sociale meridionale e sugli archivi fotografici del marchese Bruti Liberati. Ancora non sono riuscito a vedere il film di Martone (che amo come regista) ma recupererò quanto prima.”

Il nostro paese si prepara a festeggiare 150 anni, eppure raramente ci siamo distinti per senso di appartenenza (eventi sportivi a parte): trova che una rilettura critica di eventi  radicati nella memoria collettiva possa aiutare a ripensare con maggiore attenzione ed  interesse la nostra Storia?
“Come ti dicevo a me interessa la parte più umana e personale dei briganti. Ovviamente raccontare punti di vista differenti aiuta ad avere una consapevolezza maggiore sulla nostra storia (e quindi su noi stessi).”

Il dibattito sul ruolo avuto dall’Unità nel nostro paese non si è mai esaurito ed è sempre stato recepito con una certa superficialità dall’opinione pubblica: la mia è più che altro una provocazione, ma, raccontando la storia del brigante Grossi, ribellatosi per disperazione allo Stato che aveva contribuito a costruire, non teme di contribuire ad alimentare il disinteresse e lo scetticismo dinnanzi alla “sacralità” che ogni Nazione dovrebbe avere?
“Penso che sia giusto capire anche cosa intendiamo per Stato. La vicenda della corruzione del braccio destro del Grossi, per esempio, ci racconta di uno Stato pronto ad usare l’imbroglio e il raggiro per arrivare ai suoi scopi. Uno Stato che alla nascita già mostra i suoi lati negativi.”

Nel suo fumetto l’Italia neonata delude profondamente le aspettative dei suoi cittadini e la loro ribellione sociale ha un che di epico: ha paura che il suo brigante Grossi possa venir mitizzato dai lettori? Osservando il successo recentemente riscosso dalla banda della Magliana (a Roma imperversano accendini raffiguranti gli “eroi” della banda) mi/le chiedo se le storie costruite attorno a criminali non rischino di venir percepite nella maniera più sbagliata e sciatta possibile.
“La banda Grossi era principalmente una banda di criminali, spesso violenti; la gente aveva paura di incontrarla. Al tempo stesso però incarnava il senso di ribellione ad uno Stato a loro imposto (basti pensare che prima dell’unità il contadino pagava una tassa vicina allo zero, mentre dopo arrivarono tasse per servizi che raramente interessavano le campagne). La realtà ha sempre diverse sfumature e quindi capisco il fascino che certe figure, da sempre, emanano, ma il marchigiano e´pragmatico: dubito mitizzerà questa figura.”