Cinema: l’immagine movimento

immagine-movimento-cinema11L’immagine movimento” (Ubulibri, 2010), scritto dal filosofo Gilles Deleuze, con “L’immagine-tempo”, è un saggio fondamentale sull’estetica del cinema.
La genialità del pensatore francese sta proprio nel fatto di partire, nella sua analisi, da Bergson per cominciare una lettura inedita sul movimento tramite un approccio antifenomenologico.

Partendo da definizioni semplici come “piano”, “inquadratura” e “sezionamento”, Deleuze seziona il concetto convenzionalmente accettato di “cinema” per restituire una nuova definizione dell’immagine puntando proprio sui due aspetti precipui di quest’arte : il movimento e il tempo.

L’immagine-movimento è il piano, la sezione-mobile di una durata, ed è esemplificativo la citazione del celebre piano de “L’ultima risata” di Murnau in cui la macchina da presa, posta su di una bicicletta, messa inizialmente in un ascensore, scende e riprende la hall dell’albergo per poi andare via, oltre i battenti della porta girevole, “in una sola perfetta panoramica”.

La cinepresa, vista come un mezzo di locomozione qualsiasi, dà proprio il senso dell’immagine-movimento cinematografica, “movimento di movimenti”, come giustamente asserisce Bergson. Il piano non va ad esprimere solamente una durata di un tutto che cambia ma dilata le distanze, deforma i corpi, scomponendo e ricomponendo il tutto. Il montaggio non è altro che il concatenamento delle immagini-movimento e costituisce un’immagine indiretta del tempo.

Nel terzo capitolo, infatti, Deleuze dimostra che il tempo può essere concepito in funzione del movimento in diversi modi ed enuclea le quattro diverse tendenze di montaggio. Ogni scuola restituisce un diverso sistema di relazione tra le immagini e afferisce ad una filosofia del linguaggio precisa: così, mentre Griffith col montaggio parallelo sviluppa la forma del duale (assediante/assediato, bianco/nero), unità nel diverso, in maniera organica, Eisenstein sviluppa un montaggio d’opposizione, dialettico, il passaggio da un opposto all’altro e l’acquisizione di una nuova potenza.

Deleuze, sulla stregua di Peirce, procede a classificare alcuni tipi di immagine che ritrova nel cinema. Allora “l’immagine-percezione” è la percezione nella percezione, quella “soggettiva libera indiretta” pasoliniana, che supera l’oggettivo e il soggettivo per arrivare ad una forma pura, non appena diviene “cinema di poesia”.

L’immagine-affezione, invece, è il primo piano, iconico, il volto spogliato di tutto, il momento filmico in cui si sospende l’individuazione (come accade in “Persona” di Bergman in cui i due volti tendono a somigliarsi al punto da non essere più distinguibili).

Tra le varie tipologie di immagini, Deleuze arriva a cogliere la crisi del cinema tradizionale nel momento in cui l’immagine comincia a non rinviare più ad un significato preciso ma ad un significante. Ecco l’immagine mentale smarcata, strappata alle sue relazioni naturali.

Il sogno americano viene messo in crisi, quindi anche l’immagine-azione tipica dei western fordiani, si arriva ad un nuovo tipo di immagine liberata da ogni tipo di coordinata spazio-temporale (Godard, la Nouvelle Vague, il cinema espressionista tedesco) e ad un nuovo cinema.

Gilles Deleuze è uno dei più grandi pensatori francesi del Novecento. Di difficile classificazione, pur se definito “post strutturalista”, alcuni suoi libri, tra cui “Differenza e ripetizione”, “Logica del senso” e “L’anti-edipo”, hanno letteralmente segnato la storia della filosofia del novecento.

Autore: Gilles Deleuze
Titolo: L’immagine-movimento – Cinema 1
Editore: Ubulibri
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 19 euro
Pagine: 272