La morte di Mario Monicelli. Serio osservatore del presente

mario-monicelliIl mondo della cultura è in lutto. Mario Monicelli, decano dei registi italiani, si è suicidato ieri sera lasciandosi cadere dal balcone della sua stanza al 5° piano dell’Ospedale S. Giovanni di Roma, dove era ricoverato da qualche tempo.

La sua morte lascia il mondo dello spettacolo, e non solo, attonito, sgomento. Mario Monicelli regista e sceneggiatore uno dei maggiori esponenti della commedia all’italiana era nato a Viareggio il 16 maggio del 1915 e durante tutta la sua lunga vita aveva sempre conservato quello spirito burbero, ironico e dissacrante che ha riversato nei suoi più di sessanta film e oltre sessanta sceneggiature. Nessuno come lui ha saputo ritrarre lo spirito fieramente cialtrone e irriverente di noi italiani. Nelle sue pellicole di enorme successo dalla vena satirica e pungente l’Italia cambiava da i primi firmati insieme a Steno Totò cerca casa (1949) e Guardie e ladri (1951), Un eroe dei nostri tempi (1955) ritratto del pavido Alberto Menichetti/Alberto Sordi passando per I soliti ignoti (1958) che ha segnato la nascita della commedia all’italiana fino a Le Rose del deserto (2006). Personaggi immortali che hanno contribuito a fare grande il nostro cinema, film capolavori di realismo e bravura contenenti battute storiche che sono entrate nel lessico di ciascuno di noi. Questo era Mario Monicelli un uomo coerente che ha deciso come uscire dalla scena in una sera di pioggia dove fanno già capolino le luci di Natale, come aveva fatto il padre Tomaso giornalista e scrittore antifascista suicidatosi nel 1946.

Fin dai suoi primi film pensiamo a Totò e Carolina (1955) il regista insieme a Age e Scarpelli offre al pubblico una dimensione nuova e inedita degli attori che prendono parte alle sue pellicole. Avviene ne I soliti ignoti, dove nasce un Vittorio Gassman nel suo primo ruolo comico e caricaturale in un film che ha segnato un’epoca costellato da attori in stato di grazia. Peppe er pantera è un pugile suonato a capo di una miserabile banda di ladri che cercano il colpo che li faccia cambiare vita, ma invano. Non “è tutto calcolato scientificamente” come ripete spesso Peppe e niente va come previsto.

Quando è la volta di raccontare gli italiani in guerra Monicelli si affida al duo Sordi & Gassman creando in tal modo un film capolavoro La grande guerra (Leone d’oro alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 1959) dove due simpatici soldati scansafatiche, come Oreste Jacovacci e Giovanni Busacca, nel finale della pellicola si riscattano con un gesto coraggioso.

Scorrendo il curriculum cinematografico del regista ci si accorge che pochi cineasti come lui hanno saputo indagare e descrivere l’italiano medio dal dopoguerra a oggi. Le dinamiche familiari in Padri e figli (1957), in Parenti, serpenti (1992) e in Speriamo che sia femmina (1986) dove in un grande casale in Toscana vivono otto donne in armonia con zio Ugo l’unico maschio ammesso nel clan. Felice è l’incursione nel passato con L’armata Brancaleone (1966) capitanata da Brancaleone da Norcia nobile rampollo di una famiglia decaduta il quale attraversa l’Italia medioevale quanto mai stranamente attuale a capo di un manipolo di straccioni dalle idee confuse e poco organizzate “Abbiate fede nello cavalcone! Isso è forte!”. Nella Torino di fine Ottocento in una fabbrica tessile il Professor Sinigaglia/Marcello Mastroianni incita gli operai allo sciopero. Siamo sul set de I compagni (1963) un affresco spettacolare e malinconico sul nascente movimento operaio italiano. La ragazza con la pistola (1968) catapulta Monica Vitti nel suo primo ruolo ad alta densità comica La giovane siciliana Assunta Patanè per difendere il proprio onore oltraggiato, sbarca in Inghilterra in cerca di vendetta ma l’impatto con la swinging London le apre gli occhi. Rappresenta un vero e proprio inno all’amicizia Amici miei (1975) storia di quattro inseparabili amici fiorentini e delle loro zingarate, un poker d’assi di quattro attori insuperabili come Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Adolfo Celi e Gastone Moschin.

Negli anni Settanta la società italiana cambia, si rinchiude in se stessa e Monicelli coglie perfettamente questo momento storico drammatico con Un borghese piccolo piccolo (1977) basato sul romanzo omonimo di Vincenzo Cerami nel quale Sordi regala al suo pubblico una grandissima interpretazione nel ruolo di un padre orfano del figlio morto in circostanze dolorose. Ne Il Marchese del Grillo (1981) splendida è la dissacrazione della Roma papalina di Pio VII dove il Marchese Onofrio/Alberto Sordi trascorre le sue giornate nell’ozio ordendo scherzi atroci, ostentando un atteggiamento ribelle nei confronti dell’aristocratica e conservatrice famiglia.

Curzio Maltese ha definito Monicelli il “nostro Balzac, l’autore di una gigantesca commedia umana degli italiani, attraverso decine di film, spesso capolavori”. Con il suo ultimo lavoro Vicino al Colosseo… c’è Monti (2008), cortometraggio documentario, il Maestro del cinema aveva narrato il suo quartiere, l’antica Suburra alla quale era affezionato. Il regista inoltre era solidale con le donne e gli uomini del mondo dello spettacolo che hanno manifestato contro i tagli alla cultura. Giovane tra i giovani la scorsa estate si era visto arringare a Roma gli studenti di una scuola di cinema “Dovete usare la vostra forza e non tacere, dovete sovvertire, protestare. Fatelo voi che siete giovani. Io non ho più l’età”.

La scomparsa di Mario Monicelli ha colpito il Presidente Giorgio Napolitano il quale in un messaggio inviato ai familiari del regista ha scritto “Egli è stato tra le personalità più originali, operose e creative del cinema del Novecento e sarà ricordato da milioni di italiani per come ha saputo farli sorridere, commuovere e riflettere”.

Emanuele Salce ha così commentato la scomparsa del regista: “un grande che se n’è andato alla grande, come aveva vissuto”.

Abbiamo chiesto a Carlo Verdone di lasciarci un breve ricordo del regista scomparso:

Mario Monicelli ha rappresentato il vertice alto della Commedia Italiana. Eleganza, raffinata ironia, osservazione acuta l’hanno contraddistinto nel raccontare commedie dai toni spesso diversi dove il tema della “miseria umana” era spesso presente. Con lui ci lascia un grande maestro che ha raccontato perfettamente più di 50 anni di storia italiana. E resta la grande amarezza che un uomo che ha dato tanto buonumore e riflessione lucida abbia scelto, come ultimo ciak, un’immagine così cupa e disperata. Gli saremo tutti molto grati per le grandi lezioni di cinema che ci ha lasciato oltre alla sua grande dignità ed umiltà”.

Mario Monicelli si è congedato dal suo pubblico lasciandoci Risate di gioia preziosa eredità della sua vastissima produzione cinematografica prendendo in prestito il titolo del film neorealista del 1960 con Totò e Anna Magnani. Risate di gioia che non saranno certamente dimenticate.

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