L’antiepopea risorgimentale firmata Mario Martone

noi-credevamoNoi credevamo” (Bompiani) di Mario Martone, contiene la sceneggiatura del film omonimo scritta da Martone e G. De Cataldo, fotografie di pellicola e backstage e un’intervista di Lorenzo Codelli allo stesso regista.

Il film kolossal lungo 204 minuti è stato presentato in concorso al Festival Internazionale del cinema di Venezia 2010 lo scorso 8 settembre salutato da sette minuti di calorosi applausi.

Noi credevamo uscirà sugli schermi italiani il prossimo novembre. Lunga è stata la genesi del film, sette anni d’intensa e faticosa preparazione, è la storia del Risorgimento come prima non si era mai vista né al cinema né tanto meno studiata nei libri di scuola. “È un viaggio dentro la storia italiana dell’Ottocento” come dichiara Martone, cinquant’anni di storia patria dai primi tentativi insurrezionali fino all’unità d’Italia, della quale stiamo per festeggiare i 150 anni. Proprio in quegli anni cruciali dove furono cosparsi sangue, consumati tradimenti ed efferati delitti si possono però rintracciare tutte quelle ambiguità e quelle contraddizioni tipiche della storia recente della nostra penisola. Gli italiani hanno una “conoscenza generica della propria storia”, per questo è importante un film come questo che pone lo spettatore di fronte alla propria coscienza.

Mario Martone ha tratto “elementi importanti” dal romanzo Noi credevamo di Anna Banti pubblicato nel 1967. Il volume è “una sorta di autobiografia apocrifa perché è costruito su elementi di realtà”. Anna Banti (il cui vero nome era Lucia Lopresti) attraverso i ricordi del nonno calabrese Domenico Lopresti raccontava l’epopea risorgimentale, ma da un punto di vista nuovo. Nel libro Domenico dal “carattere chiuso” è un mazziniano affiliato ai Figli della Giovane Italia. Il punto di partenza sia del romanzo della Banti sia del film di Martone è che è fondamentale comprendere che “sono esistiti due Risorgimenti, completamente contrapposti, perché l’idea repubblicana era nemica giurata dell’opzione monarchica”. Quest’ostinazione repubblicana nella pellicola è rappresentata dalla figura di Giuseppe Mazzini che ha il volto sofferente del bravo Toni Servillo. Non è un caso quindi che Cavour in Noi credevamo non appaia. Questa contrapposizione mai sanata tra monarchici e repubblicani secondo il regista napoletano è “l’aspetto che contraddistingue tutta la storia d’Italia a venire, e il nostro stesso presente”. Un dualismo fatale che non è stato mai sanato. “Un’idea di Italia monarchica e autoritaria da un lato, e un’idea d’Italia repubblicana e democratica dall’altro”. Proprio per questo noi italiani non riusciamo ad avere un patrimonio comune perché “continuano ad accadere cose che lo impediscono”. Il regista desiderava fare un film sui repubblicani e mettere “in luce un fronte che, per contrapposizione, evocasse l’altro”.

Gli ideali di tre giovani, tre amici nati nella terra del Cilento i quali ostinati hanno un sogno: la rivoluzione. Domenico (Luigi lo Cascio) e Angelo (Angelo Binasco), appartenenti alla piccola nobiltà locale, con Salvatore (Luigi Pisani), figlio di lavoratori della terra, giacobini romantici, abbandonano il Cilento dopo la feroce repressione borbonica dei moti del 1828. I loro sogni li condurranno dopo aver attraversato un’Italia anelante pane e libertà a Parigi e a Londra. La Storia ha per ciascuno di loro un destino diverso, qualcuno morirà tragicamente e a qualcun altro spetterà il compito di assistere all’unità d’Italia, di raccontare quello che è accaduto, perché noi credevamo. Ma a quale prezzo?

Noi credevamo descrive tra luci e ombre l’alba tragica del nostro Paese, divisa in quattro atti. Per stessa ammissione del regista il film è d’impianto rosselliniano nel senso che “volevo utilizzare, secondo la lezione di Rossellini, gli elementi della Storia in quanto tali, evitando rielaborazioni artificiali”. La pellicola è stata girata in Campania nel Cilento “terra aspra” conosciuta e amata da Martone fin da bambino. Anche la cittadina di Pollica è stata protagonista delle riprese e Martone a Venezia ha voluto ricordare il sindaco Angelo Vassallo ucciso il 6 settembre scorso in un agguato di stampo camorristico.

I dialoghi lunghi e intensi sono affidati a un cast di attori “miei grandissimi alleati” di ottimo livello. Citiamo Luca Zingaretti (Francesco Crispi), Francesca Inaudi (Cristina Trivulzio di Belgiojoso), Anna Bonaiuto (Cristina Trivulzio di Belgiojoso nella maturità), Guido Caprino (Felice Orsini), Luca Barbareschi (Antonio Gallenga). Le musiche di Bellini, Donizetti, Rossini, Verdi, selezionate da Ippolita di Majo, sono state affidate all’Orchestra sinfonica della Rai di Torino diretta dal Maestro Roberto Abbado.

Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Principessa patriota esiliata a Parigi dopo aver appreso la notizia dell’unità d’Italia pronuncia la storica frase “Sì, l’albero è nato malato ma è stato piantato”.

Noi credevamo, passato imperfetto fondamentale per comprendere il nostro presente.

Mario Martone è nato a Napoli il 20 novembre 1959. Ha iniziato la sua carriera artistica in teatro allestendo nel 1976 il suo primo spettacolo Faust o la quadratura del cerchio. Con il primo lungometraggio Morte di un matematico napoletano nel 1992 vince il Gran premio della giuria alla Mostra di Venezia. Con L’amore molesto nel 1995 vince tre David di Donatello per la regia, per la migliore attrice protagonista Anna Bonaiuto e per la migliore attrice non protagonista Angela Luce. Teatro di guerra (1998), L’odore del sangue (2004). Con Bompiani ha pubblicato Teatro di guerra. Un diario (1998), Chiaroscuri. Scritti tra cinema e teatro (2004).

Autori: Mario Martone
Titolo: Noi credevamo
Editore: Bompiani
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 17,50 euro
Pagine: 317