Colloqui per l’album di famiglia. Intervista a Nando dalla Chiesa

album-di-famigliaDiario, romanzo, testimonianza. È “Album di famiglia” (Einaudi, 2009) dove Nando dalla Chiesa ripercorre, la storia d’Italia e la storia privata di quattro generazioni dall’Ottocento fino agli anni Duemila.Trentacinque colloqui immaginari con alcuni componenti della propria famiglia.

Da un oggetto caro, come l’anello paterno o le figurine del  presepe simbolo della famiglia, da un luogo, la grande camerata della caserma di via Moscova a Milano divisa insieme alle sorelle Rita e Simona teatro di scherzi tra fratelli, da una frase o da una fotografia, Dalla Chiesa inizia un breve dialogo con i nonni, il padre, la madre amatissima che per anni si alzava presto la mattina “…per provarmi la lezione“, le sorelle, gli zii, la moglie Emilia compagna di una vita ed i propri figli che portano i nomi dei nonni paterni. Storia a volte intimissima con spunti inediti delle proprie radici ma anche storia di un secolo che colpisce e cattura l’anima ed il cuore di chi legge.

Gioie, dolori profondissimi, valori radicati, autentici trasmessi da padre in figlio in un romanzo che è anche una sorta di autobiografia, un’educazione sentimentale, civile e laica dove la memoria, il racconto, senza mai un accenno di retorica, sono il perno centrale del libro.

Ne parliamo con l’autore.


Professor dalla Chiesa, nella prefazione al romanzo scrive «Io. Io so cos’è una famiglia». La famiglia di oggi, destrutturata, diversa da quella di un secolo fa, può essere ancora un punto di riferimento di valori condivisi, di identità, rifugio?

“Si, può esserlo anche se probabilmente è più difficile di una volta, nel senso che oggi non si può contare su una disciplina che stabilisca immediatamente valori e punti di riferimento. Oggi questi punti di riferimento vanno costruiti con pazienza e dialogo. Certo con l’esempio, con i comportamenti, anche con un po’ di severità, e sempre con molto amore. Come una volta. Ma non essendoci più una disciplina o un’obbedienza capaci di veicolare facilmente un insieme di principi, di prassi, di precetti anche, la cosa è più complicata. In teoria abbiamo tutti un grado di istruzione più alto, dovremmo dunque essere in grado di promuovere idee e principi attraverso la persuasione o un’educazione consapevole. Il guaio è che -lo vediamo ogni giorno-  l’istruzione non ci mette automaticamente in condizione di saperlo fare. Perché viviamo la contraddizione di una società più istruita e al tempo stesso meno responsabile, meno compresa dei suoi doveri. Mancano disponibilità e consapevolezza. Spesso non si è disposti a fare la fatica necessaria: parlare con un bambino, leggergli delle cose, invece che piazzarlo davanti alla televisione, cercare di seguirlo nella sua crescita, invece che portarlo da un luogo all’altro a fare sport, a fare esperienze di tipo selettivo. Una volta il cortile o la strada erano una forma di socializzazione molto diffusa e poi su questo interveniva, da grande regolatrice, la presenza della famiglia”.

Il romanzo è dedicato ai Suoi figli. Ai miei Gracchi. Quale messaggio desidera dare alle giovani generazioni che ancora non conoscono la storia della Sua famiglia attraverso le pagine del libro?

“Il messaggio che desidero dare è che la famiglia è una cosa bella. Molti delle nuove generazioni sono abituati a sentir parlare della famiglia come di un luogo di proibizioni, a vederla come un’istituzione che viene agitata per imporre divieti; altri si abituano a trattare la famiglia come un centro di affetti da cui derivano vantaggi materiali, i soldi o anche l’alloggio in età ormai adulta. Secondo me le giovani generazioni sanno però dentro di sé cos’è una famiglia. Ecco, bisogna tirarglielo fuori. Io vorrei che questo libro, almeno per quelli che lo leggeranno, possa svolgere questa funzione: comunicare ai più giovani che la famiglia può essere una cosa bella e aiutarli a fare maturare le percezioni che si portano sotto pelle”.

Toccante è la ricostruzione della vita familiare vista dal libro della spesa Casa serena anno 1958 dove Sua madre Dora, perfetta casalinga ma anche donna colta e amante delle lettere, annotava minuziosamente tutte le spese. È la storia di un’Italia che non esiste più. Ce ne vuole parlare?
“Era un’Italia che aveva scoperto la pace e la libertà, quindi che già si accontentava di questo dopo i drammi della guerra. Sobria, austera, che sapeva il valore della fatica e la sperimentava tutti i giorni. Era un’Italia dove la maggioranza relativa lavorava nell’agricoltura. Se ricordo bene nel censimento del 1951 era ancora sopra al 40%. Considerava la cultura come strumento di elevazione sociale. Era anche un paese dove succedeva qualcosa che oggi non sopporteremmo: dalla sottomissione della donna ai padri padroni. Ma se dovessi parlare dell’Italia che ho conosciuto io che ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di persone che avevano studiato, ecco, intorno a me vedevo questo tipo di Italia. Di cui ho nostalgia”.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione del 27esimo anniversario dell’agguato e dell’assassinio mafioso di Suo padre il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo, avvenuto il 3 Settembre del 1982, con un messaggio al Prefetto di Palermo ha invitato tutti, Istituzioni, società civile, nuove generazioni «ad una continua vigilanza contro le persistenti forme di presenza e di infiltrazione della criminalità organizzata, non meno pericolose anche quando meno appariscenti». Cosa desidera dichiararci in proposito?
“L’appello di Napolitano è sacrosanto. Ci sono delle regioni del paese che sembrano voltarsi dall’altra parte e non volere vedere la presenza della criminalità organizzata, che spesso la smentiscono per non avere problemi. C’è chi vuole continuare a presentare i luoghi che governa come luoghi vergini e non vuole che si metta la lente d’ingrandimento su presenze criminali.  Penso che bisognerebbe avere invece la responsabilità di saperle vedere, quelle presenze; di saperle combattere nell’interesse dei propri concittadini”.

La figura di Suo padre, il suo altissimo senso dello Stato e delle Istituzioni, il suo rigore morale e le sue intuizioni investigative sono un esempio per gli italiani. Leggendo il romanzo si scopre un dalla Chiesa inedito marito innamorato e padre affettuoso e severo con i suoi Perché no e con la predilezione per lo scriver bene. Possiamo dire che con la pubblicazione di questo romanzo si chiude un percorso iniziato con Delitto imperfetto?
“Non lo so se si chiude un percorso, le stesse riflessioni che faccio nel libro sul destino mi fanno pensare che uno non ci si possa sottrarre per decisione propria. Anche con Delitto imperfetto avevo immaginato di chiudere un percorso. Infatti nelle ultime righe avevo cercato di comunicare questa intenzione, questo desiderio. Non è stato così e temo che non sarà cosi neanche con Album di famiglia. Proprio per quello che dicevamo prima. La comunità ancora non ha imparato a sapersi misurare con la presenza della criminalità organizzata e quindi chi sa che cosa vuol dire deve continuare ad impegnarsi anche per chi non si impegna”.


“Album di famiglia”
inizia con un’immagine struggente: un anello ed un orologio color rossobruno macchiati di sangue e si chiude con la frase …la storia ricomincia. È una nota di speranza che si tramanda insieme all’amore, alla solidarietà, all’unione, nonostante il dolore e le avversità, di generazione in generazione?

“Si, è una nota di speranza che non si regge soltanto sul fatto che mio padre chiamava mio figlio Carlo Alberto il Grande. Questo flusso di storie che passa per le generazioni mi ha dato la sensazione, soprattutto mentre rileggevo il libro, di scrivere una favola. Quando mio padre venne intervistato da Enzo Biagi nell’ultima, anzi unica intervista televisiva, e disse “la mia vita non è una favola e non la racconterò ai miei nipoti, voglio raccontarla ai miei carabinieri più giovani”, aveva ragione. La sua vita non era stata una favola, e d’altronde non sapeva ancora che cosa gli sarebbe successo un anno dopo. Però se guardiamo non la sua ma tutta la storia delle generazioni, allora si ha la sensazione che sia una bella favola perché intessuta di sentimenti forti e belli, di impegno, di senso della famiglia, dell’appartenenza, di nomi che ritornano nel tempo”.

Nando dalla Chiesa è nato a Firenze il 3 Novembre 1949. Scrittore e politico italiano, si è laureato in Economia e Commercio all’Università Bocconi di Milano ed è Professore associato di Sociologia della criminalità organizzata e Sociologia dell’organizzazione all’Università Statale di Milano. È Presidente Onorario di Libera, l’associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti e Presidente della scuola di formazione politica Antonino Caponnetto. Parlamentare della Repubblica per tre legislature, ha fatto parte del secondo governo Prodi in qualità di Sottosegretario all’Università ed alla Ricerca. Nel 2004 ha fondato la Casa Editrice Melampo. Tra i suoi libri ricordiamo Delitto imperfetto. Il Generale. La mafia. La società italiana. (Melampo 2007) pubblicato per la prima volta nel 1984 dove denuncia la natura per nulla “perfetta” dell’assassinio di suo padre, il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, tradotto in tre lingue, Il Giudice ragazzino (Einaudi 1992) biografia di Rosario Livatino da cui è stato tratto un film nel 1994 diretto da Alessandro Di Robilant, La farfalla granata (Limina 1995) incentrato sulla figura di Gigi Meroni,  Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi 1999), il testo satirico La fantastica storia di Silvio Berlusconi (Melampo Editore 2004), Le ribelli. Storie di donne che hanno sfidato la mafia per amore (Melampo Editore 2006). È anche autore di un monologo teatrale Poliziotta per amore (2008) interpretato da Beatrice Luzzi.

Autore: Nando Dalla Chiesa
Titolo: Album di famiglia
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 17 euro
Pagine: 194