La cittadinanza attiva. Intervista a Terri Mannarini

cittadinanza-attivaPartecipazione pubblica dei cittadini. Questo il nodo centrale del libro “Cittadinanza attiva” (Il Mulino, 2009). Dalle parole di Terri Mannarini si inquadra meglio l’oggetto di analisi e le proprie dinamiche.

Cittadinanza attiva. Spesso, anche fuoriluogo, si sente parlare di questo tema. Ci può spiegare questo attivismo?
“L’espressione “cittadinanza attiva” è abusata. Non avevo originariamente in mente di usarla, ma l’editore ha ritenuto che fosse un’etichetta accattivante per il pubblico. Il mio libro si occupa di una manifestazione specifica della cittadinanza attiva, il coinvolgimento dei cittadini in forme di consultazione pubblica. La dimensione dell’attivismo fa riferimento alla volontà delle persone di impegnarsi in un contesto di discussione e confronto, in cui hanno il “diritto” di esporre il proprio punto di vista su un tema/problema che li coinvolge, ma hanno anche il “dovere” di prendere in considerazione punti di vista contrastanti.”

Terri Mannarini è ricercatrice in Psicologia sociale presso l’Università degli Studi di Lecce. I suoi interessi di ricerca si collocano nell’ambito della psicologia di comunità e riguardano, in particolare, i temi della partecipazione territoriale, dei modelli formativi e delle differenze di genere. Per la nostra casa editrice ha recentemente pubblicato, insieme a B. Gelli e R. D’Amico, il volume  L’università delle donne  (2002).

La partecipazione, i gruppi di interesse e quelli di pressione. Si distingue la partecipazione attiva dal lobbying?
“In un certo senso anche il lobbying può essere considerato una forma di partecipazione, tuttavia, se si utilizza come contesto di riferimento quello della partecipazione pubblica, c’è una linea di demarcazione fondamentale: l’attività di lobbying è per definizione orientata alla difesa di interessi specifici e particolari, mentre la partecipazione pubblica ha come scopo quello di tutelare gli interessi, più ampi, della collettività. L’orientamento al bene comune prevale sull’orientamento al soddisfacimento di un interesse privato.”

A chi si rivolge con questo suo testo? E’ un saggio del tutto accademico?

“Il testo è destinato soprattutto a chi progetta, gestisce o valuta percorsi di coinvolgimento dei cittadini nelle scelte pubbliche: amministratori, facilitatori, operatori, ricercatori. Si tratta però di un testo tutt’altro che tecnico, e per lo stile – volutamente discorsivo – e per le finalità. Il mio obiettivo è, infatti, offrire degli spunti di riflessione sul tema della partecipazione pubblica, illustrando alcuni dei meccanismi psicosociali che caratterizzano i percorsi di coinvolgimento della cittadinanza.  Sotto questo profilo, si tratta a mio avviso di un testo fruibile da un pubblico molto più ampio.”

Alla cittadinanza attiva si contrappone quella passiva. Quali sono i tratti distintivi?
“Sappiamo bene che, a fronte di pochi cittadini “attivi”, si registra una moltitudine di cittadini “passivi”. La polarità attivo/passivo è però fuorviante, perché denota un giudizio di valore. Se proprio vogliamo usare queste parole e dare una definizione, direi che a rigor di termini i cittadini cosiddetti “passivi” sono gli individui che, nell’arco della loro vita, non varcano mai il confine tra sfera privata e sfera pubblica, cioè non si impegnano, neanche saltuariamente o per un periodo della loro esistenza, in qualche forma di azione sociale. Cittadini, cioè, che non dicono mai la loro su questioni che trascendono il mero interesse personale. La questione in realtà è meno semplice, perché sappiamo che molte forme di “non partecipazione” sono influenzate dalla concezione e dal tipo di rapporto che le persone hanno con la politica e le istituzioni.”

Com’è cambiata la partecipazione attiva della popolazione dalle grandi manifestazione del ’68 ad oggi? Il G8 di Genova cosa ha rappresentato in tal senso?
“Io non sono una studiosa dei movimenti sociali, però direi che rispetto agli anni ’70 la partecipazione è diventata più focalizzata (single-issue, come si suol dire), più fluida, cioè meno vincolata ad un’organizzazione o gruppo, e con un andamento altamente imprevedibile, tale per cui a grandi picchi seguono lunghi periodi di latenza. Il G8 di Genova ha rappresentato allo stesso tempo un “picco” e una “discesa”, cioè ha segnato un momento di grande partecipazione ma anche l’inizio dello sfaldamento del movimento. Tuttavia, lo ripeto, non sono così esperta da poter offrire un’analisi rigorosa.”

Esiste una patina di diffidenza quando si fa riferimento alla partecipazione attiva, spesso confusa con sommosse e proteste. In verità ogni democrazia dovrebbe contenere un popolo attivo, giusto?
“Per le democrazie, e direi più in generale per l’evoluzione sociale, il dissenso è altrettanto vitale del consenso. Una società che non esprimesse segnali di scontento sarebbe una società conformista e acquiescente, destinata ad implodere. Ci sono però molti modi di far sentire la propria voce: non solo la protesta di piazza, che per definizione ha una connotazione anti-istituzionale, ma anche forme più “collaborative”, che cercano il dialogo con le istituzioni.”

Un quesito tecnico. Come sono cambiati gli studi sull’influenza sociale negli ultimi anni? Ha influito il web o si fa ricerca alla vecchia maniera?
“La domanda non mi è molto chiara. Si riferisce alla possibilità di utilizzare il web per fare ricerca sui meccanismi di influenza sociale? O al potenziale di influenza sociale contenuto nel web? Posso dire che il web è diventato un oggetto di studio per la psicologia dal momento in cui ha permesso il costruirsi di relazioni interpersonali e sociali: le comunità e i gruppi virtuali offrono agli studiosi dell’influenza sociale materiale altrettanto valido e interessante di quello offerto dalle comunità e i gruppi faccia-a-faccia.”

Terri Mannarini è ricercatrice in Psicologia sociale nella Facoltà di Scienze della formazione dell’Università del Salento, dove insegna Psicologia sociale e Psicologia di comunità. Tra le sue pubblicazioni: “Comunità e partecipazione” (Angeli, 2004).