I Russi

russi-adelphiUn libro di Tommaso Landolfi sui grandi scrittori russi è una cosa a suo modo così ‘naturale’ da sembrare persino scontata. Eppure il volume che arriva da Adelphi è un’invenzione della stessa casa editrice. L’autore di LA BIERE DU PECHEUR non scrisse mai un libro su Tolstoj e Cechov e gli altri ma articoli, prefazioni, recensioni – la rivista “Il Mondo” facendo un po’ la parte del leone.


L’editore milanese li ha raccolti ordinando i vari pezzi in una struttura sequenziale che parte dall’800, dalla sua storia letteraria, dalle fiabe, passando per Puskin (una sorta di principio originario), Gogol’ e gli altri, e arriva al ‘900 di Pasternak, Bunin, Erenburg, Chlebnikov, etc. La cura e la postfazione portano la firma di Giovanni Maccari, il quale mette subito in chiaro come Landolfi abbia introiettato “un’immagine della letteratura russa, del personaggio russo, che diventa una parte del suo modo di essere”.

Basti leggere il capitolo iniziale, che riproduce l’introduzione all’antologia dei Narratori russi che a Landolfi fu affidata da Bompiani negli anni ’40. Negli anni precedenti egli era stato fra i pochi a mostrare l’interesse dovuto a quel mondo e si era laureato con una tesi sulla poetessa Anna Achmatova. Landolfi individuò presto nella grande letteratura russa alcuni aspetti essenziali: l’eccentricità capziosa, un peculiare tormento, la tensione verso mondi interiori fantasmatici quanto esasperati, l’iperbole non fine a se stessa e tutt’altro che gratuita: tratti che farà propri nella sua vasta opera. Sapeva che spesso – Dostoevskij su tutti – detta iperbole è dovuta a una spasmodica ricerca della verità, che però poco ha da spartire con il realismo di stampo europeo – francese per esempio. Se Balzac narra la società ottocentesca costruendo il paradigma del romanzo classico, la letteratura russa si lascia andare alla dismisura dell’incontrollato, del vaneggiamento che il vero casomai lo coglie di sorpresa, per vie trasversali: sono “i mostri dell’immaginazione”, quelli che in autori come Gogol’ e Oblomov sembrano affatto congeniali al suo immaginario – non di studioso, va da sé, ma di scrittore.

Nessun’altra letteratura europea avrebbe potuto risultargli così affine – e l’apparente stranezza di non esserci mai stato in quelle terre dice caso mai della flebile e sulfurea sostanza di quell’immaginario: lo scrittore doveva preservarlo non contaminandolo con effetti di realtà, né tantomeno con l’accanimento filologico dello studioso. Venendo ai due nomi che la tradizione da sempre considera come gli esempi massimi della letteratura russa: Tolstoj – ben prima di finire nell’afasia artistica del suo moralismo – sembra meno nelle corde di Landolfi (che ce ne parla recensendo alcuni libri di quegli anni – nessuno, si direbbe, particolarmente entusiasmante).

Quanto a Dostoevskij, Landolfi recensisce anche il libro della seconda moglie e, pure qui, senza articolare un vero e proprio discorso critico. Ma lo scrittore ricorda però un principio indiscutibile: la grandezza di Dostoevskij – come dovrebbe essere di uno scrittore qualsiasi –, e nonostante il Cristianesimo rivesta un ruolo centrale nell’opera sua come in tanta della rimanente di quella lingua (in una declinazione per lo più avversa al cattolicesimo, e intonata invece su sensibilità misticheggianti o gnostiche) mai e poi mai può rivelarsi o essere cercata in un principio ideologico o in una definita visione del mondo prescindendo dal processo della scrittura. Che dice sempre di più di quello che forse l’autore vorrebbe – sempre se questi non voglia limitarsi a un’anodina funzione e (direbbe Aldo Busi) fosse puta caso uno Scrittore.

Autore: Tommaso Landolfi
Titolo: I Russi
Cura e postfazione: Giovanni Maccari
Editore: Adelphi
Anno di pubblicazione: 2015
Pagine: 365
Prezzo: 30 euro