“Le 13 cose” di Alessandro Turati

le_13_cose_alessandro-turatiOriginale, imprevedibile e grottesco. Ironico e al contempo velato di malinconia. Il romanzo d’esordio di Alessandro Turati, “Le 13 cose (Neo Edizioni, 2012) ci catapulta nel disordinato, strambo e particolarissimo mondo del protagonista quasi trentenne Alessio Valentino, che, senza più i cardini che imperniavano la sua vita, si muove a passi lenti nelle direzioni più impensabili. Continue reading

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0111 Edizioni: “I giorni di Insomnia”

insomnia0111Strane creature che prendono vita, favole che diventano improvvisamente realtà. “I giorni di Insomnia” (0111 Edizioni) di Arianna Giancola ci trasporta in una realtà parallela.

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Pazzi per il gelato

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“Siamo artefici del nostro destino ma… bisogna lavorarci sopra”. È il concetto centrale di Federico Grom e Guido Martinetti autori di Storia di un’amicizia, qualche gelato e molti fiori (Bompiani Overlook 2012) racconto di “un’avventura imprenditoriale di due giovani che hanno realizzato un sogno”.

Nella prefazione del volume Carlo Petrini scrive che “questa è una bella storia, da mandare a memoria”. Partendo da zero senza alcuna conoscenza della materia ma con tanta voglia di imparare, Federico e Guido, amici per la pelle, “hanno rivoluzionato il modo di fare il gelato, imponendo una filosofia e un marchio a livello internazionale”. Voglia, determinazione, lavoro e fantasia hanno fatto della Grom – Il gelato come una volta da quel piccolo negozio di 30 mq, situato in Piazza Paleocapa a Torino aperto il 18 maggio 2003, un impero di gelaterie artigianali che festeggeranno in estate quota 600 collaboratori. In quasi 10 anni di attività sono stati aperti 57 negozi non solo in Italia ma a New York, Parigi, Tokyo, Osaka, Malibu, dove gli appassionati di gelato aspettano il turno per gustare “un gelato di alta qualità, con frutti di stagione, senza aromi, senza emulsionanti, senza coloranti”. Scrivono gli autori, Guido (cuore) e Federico (mente): “forza di volontà. Grom è nata grazie a lei”. Un libro che è “un messaggio di fiducia e ottimismo ai giovani” in un momento particolarmente difficile, perché come chiarisce Petrini “la passione per l’agricoltura e per il cibo oggi possono essere una grande finestra aperta sul futuro di molti ragazzi”. All’inizio del volume allietato dalle piacevoli illustrazioni di Gabriella Bianco insieme a ricette, poesie, citazioni di scrittori (“le idee che hanno enormi conseguenze sono idee semplici” Tolstoj Guerra e Pace), gli ambasciatori del gelato made in Italy si presentano. “Sono Guido, sognatore, visionario, riflessivo”, appassionato di agricoltura, per Grom “studio le ricette e scelgo i fornitori delle materie prime, seguo l’azienda agricola Mura Mura e il marketing”. Federico, “estroverso, razionale, pragmatico” si occupa “dell’amministrazione e della finanza aziendale”.

Un’idea da impazzire” nata per caso quando Guido lesse nell’agosto del 2002 un articolo di Carlin Petrini, presidente di Slowfood, pubblicato su Tuttolibri “diceva che in Italia nessuno faceva il gelato come una volta”. “Facciamolo noi!” la logica conseguenza sua. Così iniziò l’avventura “lavorando ogni giorno per fare un prodotto sano e di alta qualità”, con un business plan (piano d’impresa) di 32.500 euro a testa, miscelando gli ingredienti in un unico luogo di produzione un laboratorio specializzato per “far arrivare nei negozi solo il liquido che poi viene mantecato” per proteggere il bene più prezioso della Grom: le ricette. Il Gusto del mese: cambiato secondo “disponibilità e stagionalità della materia prima”. Il limone Sfusato di Amalfi, la nocciola Tonda Gentile Trilobata delle Langhe, la pesca di Leonforte, il pistacchio di Bronte, ecc… tutte delizie da gustare. In seguito altra idea da manuale: creare “una nostra azienda agricola biologica a Castigliole d’Asti chiamata Mura Mura che in malgascio, la lingua degli abitanti del Madagascar significa piano piano”. A Mura Mura, http://www.mura-mura.it/ita/, nascono prodotti provenienti da “un’agricoltura pensata, saggia, lenta” frutto di lavoro, dedizione e … tanto letame! “Siamo due amici e siamo fortunati” ma la fortuna di G&F non è stata frutto del caso. È stata una fortuna rincorsa ogni giorno e ogni notte (seguendo la pastorizzazione per esempio) “con le maniche rimboccate” avendo fiducia l’uno nell’altro, sempre. I fiori citati nel titolo non sono solo “la metafora dei nostri giovani collaboratori che crescono insieme a noi” come ha recentemente dichiarato Grom in un’intervista. Infatti, se è vero come asseriscono Guido e Federico che “dietro ogni gusto ci sono molti fiori”, “tutte le volte che mangiamo c’è un fiore all’origine di quel gusto”.

Sicuramente una bella storia quella dei Grom portata come esempio da Mario Calabresi in Cosa tiene accese le stelle (Mondadori 2011), “Nessun intervento di padri, madri o nonni: provano a farcela da soli. Il successo è immediato, l’idea e anche il gusto piacciono molto, fuori dalla loro vetrina c’è sempre la coda”. La molla è la curiosità, considerata la “soluzione più divertente”. Un invito, un’esortazione ai giovani sfiduciati a “viaggiare, leggere, indagare”. Osare sulle orme di Ulisse “che ha fatto del viaggio lo scopo della propria vita” per “non viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.

Federico Grom Guido Martinetti, 39 e 37 anni, sono nati e hanno studiato a Torino. Manager il primo, enologo il secondo, hanno realizzato nel 2003 a Grom – Il gelato come una volta.

Autore: Federico Grom Guido Martinetti

Titolo: Storia di un’amicizia, qualche gelato e molti fiori

Editore: Bompiani Overlook

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 17,50 Euro

Pagine: 294

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Dove finisce Roma

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Ida Maria, giovanissima staffetta della resistenza partigiana, è la protagonista di Dove finisce Roma (Einaudi 2012), esordio narrativo di Paola Soriga, ambientato a Roma, nei giorni immediatamente precedenti il 4 giugno, che segnerà l’arrivo nella Capitale delle truppe americane e la liberazione della città dall’occupazione nazista. Ida la mattina del 30 maggio, in preda alla paura che i fascisti, venuti a conoscenza della sua attività clandestina, la stiano cercando, si rifugia in una cava di pozzolana, sotto il pratone del Quadraro, uno dei quartieri della periferia sud di Roma, che ha accolto fin dagli anni Trenta gli immigrati nella capitale, provenienti da tutta Italia. Un luogo a lei ben noto dal momento che quelle grotte, anni prima le erano stati familiari, “posti di segreti e meraviglie in cui correre ridendo con gli altri del quartiere”. E in questo luogo, rifugio – prigione, ove rimarrà fino all’arrivo degli americani, per giorni percepirà solo “il rumore dei topi ed il suo fiato che a volte si fa forte di paura”. “Con la paura addosso appiccicata” in tutte quelle ore di buio e di immobilità va con il ricordo alla sua infanzia in Sardegna, ai suoi anni a Roma che l’hanno vista crescere e diventare donna, ai suoi amici e a quel ragazzo, Antonio, “che poi chissà dove è nascosto e chissà se la pensa”. Ida, “capelli neri e la pelle di un’oliva”, è nata in un piccolo paese del Campidano e nel 1938 la famiglia la manda a Roma dove già si era trasferita la sorella Agnese, sposata con Francesco, che abita a Centocelle. A Roma incontrerà due vere amiche: Rita, che le porterà nel suo nascondiglio cibo e notizia di quanto sta avvenendo in città, e Micol, una graziosa ragazza ebrea che un giorno sarà costretta a fuggire e che non rivedrà più.

Al di là dei contenuti, il libro ha sorpreso critica e lettori per la sua intensità ed autenticità, per l’efficacia della scrittura e, soprattutto, per la capacità della giovane autrice di comporre, attraverso tante piccole storie private di gente comune, l’affresco di un periodo drammatico della nostra vita recente, facendo emergere il ruolo non secondario svolto dalle donne nel movimento partigiano. Un esordio, quindi, ricco di promesse: forse la narrativa italiana ha trovato una nuova protagonista.

Paola Soriga è nata a Uta, in provincia di Cagliari, nel 1979. Ha studiato letteratura a Pavia, Barcellona e Roma, ove attualmente vive e lavora.

Autore: Paola Soriga

Titolo: Dove finisce Roma

Editore: Einaudi

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 15,50

Pagine: 140

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“Il mio cuore sconosciuto”

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Il mio cuore sconosciuto di Charlotte Valandrey (Longanesi 2012) ci insegna che a volte la vita può essere più sorprendente di un romanzo. “Ho fatto un sogno tenace, ossessionante, che mi ha stravolto nel cuore della notte, quando mi sono svegliata urlando. Ero morta”.

Charlotte Valandrey racconta la sua seconda esistenza iniziata nella notte tra il 3 e il 4 novembre 2003 all’Ospedale parigino di Saint Paul. L’attrice francese famosa fin dall’età di 16 anni con il film A Parigi con amore scoprì di essere sieropositiva a 17 anni in seguito a un rapporto sessuale non protetto. Charlotte interruppe la sua carriera, si sposò ed ebbe una figlia, Tara (sieronegativa), subì due infarti perché le medicine che era costretta ad assumere (triterapia, terapia che inibisce l’Aids) sono dannose per il cuore. A 34 anni “il trapianto è l’unica sua possibilità” anche perché rileva l’autrice, il suo cuore era morto non solo per “gli effetti secondari di una chimica indispensabile” ma anche “per un’overdose di emozioni forti”. Frasi sincere che spiazzano il lettore “ho vissuto senza precauzioni. Senza mezze misure, è la mia natura. Non ho mai saputo regolarmi in altro modo”. Dopo il trapianto cardiaco Charlotte sentì che qualcosa era cambiato, assaporava nuove sensazioni, scoprì di andare pazza per la torta al limone e il babà al rhum. Aveva un sogno ricorrente “sono in auto, sotto una pioggia violentissima, dei fari mi accecano e ho un terribile incidente” ma soprattutto durante un viaggio in India mentre visitava il Taj Majal Charlotte, provava la sensazione di essere già stata in quel posto “Mi vedo… camminare con passo regolare verso la cupola, la ghiaia mi scricchiola sotto i piedi, porto la collanina d’oro e nella mia mano vi è una mano d’uomo… ”. Due anni dopo l’operazione, la donna sentì la necessità di conoscere l’identità della persona che le aveva donato il cuore, ma una legge europea protegge l’identità del donatore. “Chi è la persona che mi sento dentro?”. Il mistero s’infittisce quando l’attrice riceve tre lettere anonime a distanza di tempo “Cara Charlotte, io conosco il cuore che batte nel suo petto. Lo amavo”. La vita sembrò di nuovo sorridere alla donna quando incontrò Yann un architetto che “progetta hotel e showroom in tutto il mondo” conosciuto a teatro, “biondo e selvaggio” capace di far dimenticare alla donna la deludente esperienza sentimentale con il dottor Leroux. “… ho inseguito l’amore come si cerca un tesoro”. Il colpo di scena però era in agguato, imprevedibile e improvviso. “Questo mobile mi ha sempre attratta, incuriosita. Perché è sempre chiuso… ”.

De Coeur inconnu “una storia incredibile”, pubblicato in Francia lo scorso settembre presso Le Editions Cherche – Midi è il seguito della precedente autobiografia dell’autrice L’amour dans le sang. Charlotte Valandrey attrice dal volto da bambina è conosciuta dal pubblico italiano per “il ruolo della giornalista impetuosa, figlia di Pierre Mondy, nella popolare serie Il commissario Cordier”.L’amour dans le sang è la mia biografia. Il romanzo della mia vita, come amo chiamarlo. Avevo bisogno di parlare. Mi sentivo isolata, dimenticata, stanca”. Invece i libri dell’attrice/scrittrice redatti in collaborazione con il cugino Jean Arcelin sono stati uno straordinario successo, I lettori sono rimasti conquistati dal coraggio e dall’ardimento della protagonista “io vivo il mio inverno triste, una fase lenta. E aspetto la primavera, impaziente” e hanno tributato alla scrittrice affetto e ammirazione. Il libro, infatti, in Francia ha venduto 350mila copie. “Il mio cuore è un perfetto sconosciuto” scrive Charlotte eppure quel “semplice organo, straordinario ma pur sempre un organo” regala alla donna emozioni particolari. La teoria della “Memoria cellulare” è quella convinzione che si possa ereditare con un trapianto di cuore, la personalità del donatore. “Quel ricordo vivido, di avvenimenti che non appartengono al vissuto dei pazienti”, come ha sintetizzato la Valandrey in una recente intervista. “È possibile che attraverso il mio nuovo cuore io viva ricordi e sensazioni, o che apprezzi nuovi gusti, appartenenti al donatore?”. La teoria non ha ovviamente nessun riscontro scientifico eppure questo è accaduto a Charlotte Valandrey e a molti altri pazienti le cui esistenze si sono incrociate con quelle di coloro che, con un atto di estrema generosità, hanno fatto sì che i loro cuori potessero battere ancora salvando altre vite in pericolo.

È stato proprio imparando a fare il segno della croce che ho scoperto il battito del mio cuore, quel suono sordo che scandisce il ritmo della mia vita. Nel nome del Padre, del Figlio e del cuore. Nel nome del cuore”.

Charlotte Valandrey (vero nome Anne Charlotte Pascal) è nata nel 1969. Ha esordito nel cinema nel 1985 con Rouge Baiser di Véra Balmont, che le fece vincere l’Orso d’argento come migliore attrice al Festival di Berlino e il César come migliore promessa del cinema francese. Ha pubblicato L’amour dans le sang, da cui è stato tratto il film omonimo per la tv francese.

Il mio cuore sconosciuto è stato tradotto da Marcella Uberti Bona e sarà presentato giovedì 10 maggio alle 18.30 a Milano presso la Mondadori Duomo. Saranno presenti oltre all’autrice Emmanuelle de Villepin, Cristina Guarinelli e Marco Pesatori. Condurrà l’incontro Alessandra Casella.

Domenica 13 maggio alle ore 13,30 nella Sala Rossa del Salone del Libro di Torino Charlotte Valandrey presenterà il volume. Interverrà Massimo Gramellini.

Autore: Charlotte Valandrey con Jean Arcelin

Titolo: Il mio cuore sconosciuto

Editore: Longanesi

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 14,90 Euro

Pagine: 336

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Queen Tribute

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Da poco è arrivata la notizia che la compilation Greatest Hits I dei Queen è divenuto l’album più venduto nel Regno Unito: un regalo di compleanno inaspettato per la grande rock band inglese che ha compiuto quarant’anni di carriera! Continue reading

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Mille notti d’amore

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Nel romanzo Mille notti d’amore di Julia Gregson (Newton Compton 2012), il pilota di Spitfire Dominic Benson era rimasto stregato dalla voce melodiosa e dall’aspetto originale e libero di Saba Tarcan. “Era solo una canzone. Fu questo che pensò quando lei si mise il cappello e andò via, lasciandosi dietro un leggero profumo di mele fragranti”.

Nel 1942, in Inghilterra, durante i cruciali anni della II Guerra Mondiale quando le forze dell’Asse sembravano prevalere sulle truppe alleate, in un reparto del Queen Victoria Hospital, Dom aspettava che le sue ferite al viso e alle mani causate da un incidente aereo si sanassero dopo l’innesto di pelle effettuato da un rinomato chirurgo plastico. “… lei aveva fatto cessare i sogni ed era la cosa migliore che gli accadeva dopo tanto tempo”. Nei suoi incubi peggiori il pilota si ritrovava a bordo del suo Spitfire ed era preso dal panico, perché non riusciva ad atterrare “sfrecciava nell’aria, leggero e quasi incorporeo”. They Didn’t Believe Me aveva cantato Saba rivolta ai pazienti del reparto quasi tutti piloti di caccia di poco più di vent’anni. La ragazza di origini turche da parte di padre, che sognava di diventare una grande cantante, aveva ricevuto una lettera dall’ENSA, organizzazione creata per intrattenere il personale delle forze armate britanniche durante la II Guerra Mondiale. Nonostante il parere contrario dei genitori, Saba aveva accettato di andare in tournée con altri artisti nelle zone di guerra per esibirsi in favore delle truppe stanziate in Africa settentrionale. Una missione esaltante ma pericolosa, perché la ragazza per la sua conoscenza della lingua turca era stata reclutata dai servizi segreti britannici come spia. “Considerati una pedina nelle mani dei ragazzoni che giocano alla guerra”. Prima destinazione Il Cairo città magica “con i suoi tramonti infuocati, le feluche che viaggiavano sul Nilo simili a giganti falene”. Era iniziata per la ventitreenne Saba “la più grande avventura della sua esistenza” nella quale avrebbe incontrato nuovamente Dom, ormai guarito, che faceva parte di una squadriglia della Desert Air Force in Africa settentrionale. Il pilota era partito per la sua nuova missione consapevole che con Saba “avrebbe dovuto volare alla cieca”. “Quando arrivò alla tenda, vide dietro al telo una luce fioca e una sagoma scura all’interno. Saba scostò il telo: Dom era seduto su una sedia e la aspettava”.

Jasmine Night è il racconto romanzato di un aspetto poco conosciuto della guerra: la vita di quelle tante compagnie che facevano parte dell’esercito formate da attori, comici e cantanti che avevano il compito di risollevare il morale delle truppe che si trovavano sulla linea del fuoco. “È meraviglioso vedere come le facce dei soldati cambino quando ascoltano una bella canzone. Sembra che li consoli, che li faccia tornare umani”. Molte brave cantanti come Sabra “una ragazza carina”, attrici famose come Marlene Dietrich, ballerine come Arlena “alchimia perfetta di pericolo e fascino” o Janine dalla “personalità ossessiva” avevano cercato di dare il loro contributo personale allo sforzo bellico. “… amava ogni minuto di quella vita… ” Se è vero che da sempre “in generale gli uomini combattono per le loro innamorate, per le loro mamme e per i loro bambini” ascoltare Night and Day, Smoke Gets in Your Eyes, Stormy Weather, I’ve Got You Under My Skyn o Wher or When faceva ricordare ai soldati l’importanza del loro compito. Alcuni cantanti inoltre avevano svolto un ruolo “assolutamente vitale nelle operazioni belliche” dato il loro potere enorme cioè quello di “viaggiare liberamente senza destare sospetti”. Così era accaduto alla “temeraria e patriottica” Saba che aveva il compito di spiare le mosse dell’impresario Zafer Ozan “figura influente in Nord Africa”.

In quel determinato periodo storico perfettamente ricostruito dall’autrice, Istanbul era “strategicamente e politicamente una delle più importanti città neutrali al mondo” insieme alle basi aeree turche ambite dagli inglesi. Dopo il bestseller Matrimonio a Bombay Julia Gregson sceglie il Nord Africa e la Turchia come scenario ideale di una grande storia d’amore. Dom e Saba, due vite sospese che sono simili: il primo si sente libero solo mentre vola, la seconda quando canta “si sente travolta da un’onda”. We’ll Meet Again una delle melodie più famose degli anni della guerra fa da sfondo a questo romanzo che coniuga l’aplomb britannico con i colori e i profumi della magica ed esotica terra d’Oriente dall’”incredibile vastità”.

Julia Gregson vive in Galles con suo marito e la figlia, ha lavorato come giornalista per diverse riviste femminili in Inghilterra, negli USA e in Oriente. È autrice di numerosi racconti, alcuni dei quali pubblicati anche in versione radiofonica. East of the sun, suo secondo libro, è stato un grande best-seller nel Regno Unito nel 2008 ed ha vinto il Premio Romantic Novel of the Year. Presso la Newton Compton è uscito nel 2009 Matrimonio a Bombay.

Mille notti d’amore è tradotto da Rosa Principe.

Autore: Julia Gregson

Titolo: Mille notti d’amore

Editore: Newton Compton

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 9,90 Euro

Pagine: 466

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“L’ultima conversazione”

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Cinque interviste a Roberto Bolaño, una non breve introduzione di Marcela Valdes centrata essenzialmente su 2066, il libro maggiore dell’autore assieme a I Detective selvaggi, un lucido saggio finale di Nicola Lagioia: questo il materiale che costituisce L’ultima conversazione, quinta uscita della collana SUR, pubblicazione che minimum fax dedica alla letteratura sudamericana fra l’Onetti de Gli addii e il Ricardo Piglia da La respirazione artificiale.

Un’occasione per entrare nel mondo (mai totalmente distinguibile nel suo moto pendolare fra vita e letteratura) dell’amato scrittore cileno. Sfrondando il discorso dal mito che negli ultimi tempi impedisce ragionamenti pacati sullo scrittore, è preferibile restare al dettato terra-terra su ciò che in effetti in queste interviste dice, non senza notare il voltaggio febbrile che fa oscillare le sue parole dalla tensione idiosincratica di un’urgenza fisica pressante – solo in parte probabilmente dovuta alla malattia che lo avrebbe portato alla morte anzitempo – e la visionarietà che gli consentiva di guardare alle più lontane latitudini, terrestri e letterarie, con uno sguardo simultaneo capace di dare le vertigini – i lettori dei suoi romanzi lo sanno bene. Le interviste (traduzione di Ilide Carmignani) coprono un arco di cinque anni, gli ultimi, per cui non può mancare la ormai celebre “Ultima conversazione” pubblicata pochi giorni dopo la sua morte.

Nota in Bolaño la conoscenza vasta delle letterature mondiali – se si può dir così – e non solo della tradizione latino-americana. Egli ci tiene peraltro a sottolineare che a suo avviso quella spagnola e quella sudamericana non sono letterature separate e che Borges è il più grande autore di lingua spagnola dai tempi di Quevedo – laddove Kafka sembra essere un vertice assoluto. Bolaño ricorda che al Messico deve la sua formazione intellettuale, alla Spagna quella sentimentale. E che leggere – in questo davvero degno nipote di Borges – sia più importante che scrivere. In tutte le interviste si percepisce l’atteggiamento di Bolaño, uno scrittore in grado di parlare di molte cose ma sempre senza sussiego – con quello spirito che non lo abbandonò sino alla morte, mutuato da una giovinezza d’avanguardia, da neoDada sudamericano.

Per Bolaño (e ancora prima per Borges, ancora) l’oblio è il destino che attende tutti noi. Ovvio, si dirà, ma non se questo sapere lo fai diventare carne e sangue della tua vita. Ricorda Lagioia nello scritto finale che è qui che l’ammirazione di Bolaño verso Garcia Marquez e Vargas Llosa sembra slittare dentro un buco nero di dubbi, che concernono non tanto il valore delle loro opere (o di alcune di esse) ma il passo un po’ monumentale con cui i due più celebrati scrittori sudamericani viventi si avvicinano alla morte: nella viziosa illusione di resistervi, sperando in una canonizzazione da consegnare all’eterno.

In questo scarto, nell’oscillazione inesauribile fra una concezione della letteratura mai marginale o esornativa (cui non è estraneo infatti il lavoro immenso, la fatica immaginabile che sta dietro all’opera di Bolaño, e, si capisce, l’esito effettuale della stessa) e l’agrodolce consapevolezza della finitudine in grado di stornarle, entrambe, vita e letteratura, dalle sue pretese enfatiche, con tutto il rischio della vacua retorica che si diparte per li rami, in questo combinazione magistrale sta un po’ la polpa, il sapore di queste interviste. Non a un cattedratico, o a un entartainer ma a uno scrittore vero che avrebbe voluto essere uno sbirro, o una canaglia.

Autore: Roberto Bolaño

Titolo: L’ultima conversazione

Editore: Sur

Anno: 2012

Pagine: 124

Euro: 14.00

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