“La casa di vetro”

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Nelle prime righe dello struggente romanzo La casa di vetro di Simon Mawer (Beat 2011) l’antica proprietaria della Glass House dopo trent’anni tornava a visitare la dimora che si trovava in cima a una ripida collina situata ai margini della immaginaria città di Mesto nella Repubblica Ceca. “Oh siamo arrivati. Lo capì subito, anche dopo tanto tempo”.

Liesel Landauer ormai anziana e non vedente “era a casa” e con il ricordo indovinava le pareti “i pannelli di palissandro di fronte a lei e, sulla sinistra la scalinata che scendeva in soggiorno”. La Landauer House rimasta a dominare dalla sua “prospettiva magnifica” la città che si stendeva ai suoi piedi ora sembrava sospirare di gioia, felice di rivedere la sua vecchia padrona dopo anni di degrado. Le pareti di vetro della casa, considerata un’opera d’arte concepita dalla mente innovatrice dell’architetto tedesco Rainer von Abt, erano state spettatrici di tanti avvenimenti orribili e dolorosi dopo che i Landauer nel ’38 erano riparati in Svizzera per sfuggire alla minaccia nazista. “… un giorno varcheranno semplicemente la frontiera”. Imperterrita l’abitazione era sopravvissuta a un incendio, a un’infiltrazione d’acqua su di una parete, alla caduta accidentale di una bomba e cosa ancora più terribile all’abbandono. Casa Landauer era stata testimone dell’esistenza dorata di Viktor e Liesel, dei loro figli Ottilie e Martin, dei loro amici come la spregiudicata Hana, la quale si era fatta ritrarre senza veli a 19 anni da Tamara de Lempicka, e di quella élite artistica e finanziaria che legava allora la Germania alla Cecoslovacchia. Adesso l’elegante edificio era diventato un museo, compreso der Glasraum la stanza/spazio di vetro dove le vetrate si mutavano in specchi “producendo un duplicato della stanza sullo sfondo della notte”. In questo modo “la rifrazione si fa intuizione” amava pronunciare von Abt. “L’essenza della stanza di vetro è l’idea di ragione” perché per Victor incarnava “la pura razionalità dei templi greci, l’austera bellezza di un’opera perfetta, la grazia e l’equilibrio di un dipinto di Mondrian”.

The Glass Room pubblicato in Italia da Neri Pozza nel 2009 e riedito nel 2011 da Beat, marchio editoriale indipendente specializzato in edizioni tascabili di qualità, è la rappresentazione del destino di un Paese, la Cecoslovacchia, attraverso sessant’anni dallo splendore degli anni Trenta fino all’inarrestabile decadenza sotto il regime stalinista. L’autore inglese per redigere il suo capolavoro si è ispirato alla sorte di Villa Tugendhat, famosa costruzione in vetro e acciaio progettata negli anni 1929/30 da Mies van der Rohe per l’industriale tessile Fritz Tugendhat e sua moglie Greta, che si trova a Brno in Cecoslovacchia. Doloroso, infatti, il percorso storico della dimora divenuta nel corso del tempo da abitazione privata a sede di esperimenti genetici sotto il nazismo, centro fisioterapico per bambini malati e infine museo. Nel 2002 la prestigiosa costruzione è stata iscritta nell’elenco degli edifici e dei luoghi Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. “Questo romanzo è un’opera di fantasia, ma non lo sono la casa e la sua ubicazione. Il mio camuffamento non riuscirà ad ingannare chi conosca l’edificio su cui ho modellato la Landauer House o la città che si nasconde dietro il nome di Mesto”. Partendo dunque da una vicenda reale Mawer torna indietro nel tempo al 1929 quando la coppia di giovani sposi Viktor e Liesel erano partiti per il loro viaggio di nozze a bordo di una Landauer 80 cabriolet, lussuosa auto “di un bel bianco panna” prodotta dall’azienda di famiglia dello sposo, erede di un impero industriale che produceva automobili e motociclette. Vicktor di origine ebraica ma non praticante e Lise proveniente da una famiglia dell’alta borghesia tedesca erano una coppia moderna, all’avanguardia per i tempi, amanti delle novità, autentici innovatori. Avevano già in mente la casa dei lori sogni “una casa tutta per loro”, una dimora che non esisteva ancora. Durante il viaggio di nozze a Venezia gli sposi alloggiati al Royal Danieli avevano conosciuto l’architetto von Abt che aveva proposto loro la costruzione di una casa moderna, avveniristica, in acciaio e vetro. “Mi avete chiesto di progettarvi una casa e lo farò. Ma tutto ciò che posso darvi è pura forma, senza ornamenti di sorta”. L’architetto desiderava offrire ai Landauer “uno spazio di vetro” da abitare, Glasraum dove l’unico orpello sarebbe stato lo spazio infinito, nel quale la luce si sarebbe riflettuta infinite volte. Uno spazio trasparente, una casa perfetta con un arredamento minimalista, inaugurata nel 1930, che sarebbe stata in grado di celare le riflessioni di chi vi abitava, i tradimenti e i desideri inconfessabili. La purezza e la perfezione del vetro si sarebbe confrontata con l’imperfezione degli esseri umani. Appare questo il tema centrale di un romanzo coinvolgente ed affascinante. Quella casa sulla collina sarebbe stato il simbolo delle speranze della Cecoslovacchia allora l’unica democrazia liberale nel centro del vecchio continente, presto mira del folle disegno criminale di Adolf Hitler. “Non piangeva solo per la splendida casa sulla collina di Mesto, ma anche per la sua vita perduta, per l’amore svanito, perché il suo mondo era altrove e le sembrava di vivere la vita di qualcun altro, un’altra realtà, uno strano sogno sospeso sull’orlo di un incubo”. Ma nessuna guerra mondiale e nessun stravolgimento avrebbero fatto mai fatto scordare a Liesel Landauer la casa di vetro, perché “le cose non si dimenticano, si ripongono soltanto”.

Simon Mawer è nato in Inghilterra. Ha vissuto a lungo a Cipro e a Malta. Ora vive in Italia con la moglie e i due figli. È autore di altri sei romanzi, tra i quali Mandel’s Dwarf, che ha concorso per il Booker Prize e The Fall, che ha vinto il Boardman Taker Prize.

La casa di vetro è tradotto da Massimo Ortelio.

Autore: Simon Mawer

Titolo: La casa di vetro

Editore: Beat

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 10,00 Euro

Pagine: 441

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“Gli studenti di storia”

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Otto studenti si preparano per l’ammissione all’università. I giovani neo-diplomati di una scuola superiore di Leeds, per una brillante idea del preside, dovranno accedere al corso di laurea in storia di Oxford. Tre professori li seguiranno passo passo nel loro apprendimento. È proprio durante questo corso propedeutico, ambientato negli anni Ottanta, che l’autore Alan Bennett ha deciso di scrivere Gli studenti di storia (Adelphi, 2012), commedia in due atti. Continue reading

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“Il buon inverno”

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Il buon inverno è un romanzo che richiama le atmosfere tese e sottilmente inquietanti dei thriller di Alfred Hitchcock e la suspense dei romanzi gialli più classici. Con una maestria pari a quella di Agatha Christie in  Dieci piccoli indiani e di Edgar Allan Poe in I delitti della Rue Morgue Tordo costruisce una trama che è un “enigma a camera chiusa” dei più brillanti. Un marchingegno narrativo dove i delitti si consumano in un ambiente chiuso e circoscritto così che tutto il romanzo diventa un’indagine psicologica per smascherare l’assassino e guadagnarsi la sopravvivenza.

Uno scrittore portoghese, zoppo come il dr. House, precocemente disilluso e ipocondriaco, parte per partecipare a incontro letterario a Budapest senza nessun altra pretesa se non quella di ricevere un po’ di soldi. Lì conosce Vincenzo Gentile, uno scrittore italiano che viaggia in compagnia della sua fidanzata, e Nina, agente letteraria di un famoso scrittore inglese il cui ultimo romanzo diventerà presto un film. Al contrario del protagonista Vincenzo è eccentrico ed energico e lo convince a lasciare l’Ungheria per l’Italia.

La meta è Sabaudia, dove si trova la residenza estiva di Don Metzger , celebre produttore cinematografico con la passione per le mongolfiere. La casa, “Il Buon Inverno”,  è lussuosa, isolata e discreta. Lì si aggregano al gruppo il regista Roger Dromant, la moglie Stella e l’attrice Elsa Gorski. Per questo insieme di personaggi gretti e arrivisti l’attesa dell’arrivo di Metzger  diventa un’occasione per stordirsi nell’alcool e negli eccessi.

A dare una scossa a questa sospensione del tempo e della coscienza dal pieno spirito decameroniano arriva la scoperta del cadavere di Metzger. Da questo momento in poi il luogo che rappresentava le ambizioni e le brame di riscatto di tutti loro si trasforma in una prigione. Andrés Bosco, costruttore di mongolfiere bramoso di vendetta, si nasconde nella foresta nell’attesa della confessione dell’assassino. Pena della mancata confessione è la morte per tutti loro.

In questo clima sempre più grottesco e colorato da tinte horror gli ospiti della villa iniziano a muoversi come animali braccati. Messi a nudo nelle loro fragilità e sull’orlo di un crollo di nervi tutti sono pronti a dare il peggio di loro stessi. Con lo spettro di Bosco e del suo fucile, e delle scorte sempre più esigue ha così inizio un sottile gioco mentale per la conservazione.

Non andiamo oltre per non rovinare la lettura a chi vorrà addentrarsi nel romanzo, ma alla fine la menzogna e verità della letteratura si intrecciano e così si giunge alla domanda che diventa forse la maggiore fonte di inquietudine una volta chiuso il libro.

La verità può esistere nella finzione letteraria?

João Tordo è nato a Lisbona nel 1975. Dopo la laurea in Filosofia ha studiato giornalismo e scrittura creativa a Londra e a New York. Nel 2001 ha ottenuto il Young Talents Literature Award a Lisbona, città nella quale attualmente vive e lavora come giornalista, e nel 2009 il Premio José Saramago per As três vidas (2008). Oltre che di Il Buon Inverno è autore di Hotel Memória (2007). Le sue opere sono pubblicate in Francia, Brasile e Croazia.

Autore: João Tordo

Titolo: Il buon inverno

Editore: Cavallo di Ferro

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 16,50 euro

Pagine: 290

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“Un giorno solo, tutta la vita”

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Un uomo, una donna, un legame indissolubile che il vento crudele della II Guerra Mondiale non è stato in grado di spezzare. È Un giorno solo, tutta la vita di Alyson Richman (Piemme 2012) struggente romanzo che “si ispira a diverse persone, le cui vicende sono intessute nella trama”, come l’ha definito la scrittrice americana nelle note finali del libro.

L’idea di partenza di Alyson Richman era “di scrivere un romanzo su un’artista che sopravviveva alla Shoah, ma ho finito con lo scrivere una storia d’amore”. (1) “Lenka, sono io” disse lui, “Josef, tuo marito”. Josef e Lenka si erano rincontrati casualmente a New York oltre sessant’anni dopo l’ultima volta che, infatti, era stata a Praga nel 1939 pochi giorni prima dell’occupazione nazista. “Io l’ho già vista”. I loro rispettivi nipoti, “entrambi eleganti e colti americani della seconda generazione”, si erano appena sposati. Lenka non aveva riconosciuto Josef, forse perché dopo tanta sofferenza inconsciamente aveva cancellato il ricordo, Josef invece, che aveva vissuto tutta la sua vita nel rimpianto di quel sentimento, aveva subito identificato Lenka, perché “mai niente è come il primo amore… quel riconoscersi in un lampo che non ha bisogno di parole”.

The Lost Wife è l’ultimo romanzo di un’autrice bestseller, dove i protagonisti raccontano rispettivamente la propria vita. “Mi chiamo Lenka Josefina Maizel, primogenita di un vetraio di Praga. Abitavo con la mia famiglia sul lungofiume Smetana, in un appartamento un po’ sghembo…”. La donna rievoca il passato, la sua famiglia, il padre che “amava la bellezza e le cose belle”, la finezza della madre, il legame affettuoso con la sorellina minore, la tenerezza per la tata Lucie, gli studi all’Accademia di Belle Arti di Praga, l’amicizia con la bella Veruska e l’incontro con Josef, fratello di quest’ultima, studente di medicina. “Josef ed io ci guardammo negli occhi. Lui sorrise. Io avvampai. E tutto a un tratto, per la prima volta, mi mancò il fiato”. Il medico Josef Kohl, racconta la sua nuova vita in America, il matrimonio con l’esile Amalia proveniente da Vienna, “un’altra sradicata di guerra”, anche lei rimasta sola. Ciò che lega Josef e Amalia è il fatto di sentirsi entrambi in colpa per essere sopravvissuti all’Olocausto “ebrei espatriati … smarriti in una terra straniera ma vivi”. Che cosa era accaduto a Lenka rimasta in Cecoslovacchia con la propria famiglia, perché si era rifiutata di partire con Josef verso la salvezza, per non abbandonare i genitori e la sorellina? Josef e Lenka si erano sposati nel momento nel quale il mondo sembrava aver perso qualsiasi ragionevolezza. “Con l’occupazione nazista, Praga e la nostra libertà prese a svanirci davanti agli occhi”. Non ci sarà più scampo per i Maizel deportati nel campo di Terezin “campo che assomigliava a un paesino, con edifici in muratura” un luogo “fatto per impedire la fuga”, ghetto modello “concepito per far credere al mondo che gli ebrei non venivano sterminati, anzi erano loro a condurlo”. Assegnata per le sue doti artistiche presso il laboratorio di pittura del blocco Magdeburgo, Lenka mentre dipingeva ripensava “alla storia che ci aveva raccontato papà, di quando i cigni erano rimasti intrappolati nel fiume gelato e i cittadini praghesi erano accorsi in massa a liberarli: eppure non uno venne ad aiutare noi quando ci rastrellarono per la deportazione”.

Una storia straordinaria dove vengono posti in evidenza diversi tipi di amore: il sentimento filiale, il profondo amore tra sorelle, il “secondo amore” che porta Lenka e Josef a rifarsi una nuova vita, ad avere figli. Soprattutto viene esplorato quell’intenso sentimento che dura un’intera esistenza, capace di superare qualsiasi barriera di lontananza e il toccante e vivissimo ricordo di questa passione. “Quel fulmine nel cuore” intenso ed emozionante come il primo bacio, impossibile da cancellare. “La testa piena di sogni, il cuore pieno di fantasmi”. Alyson Richman in maniera eloquente pone all’inizio del volume un brano tratto dal quinto poema del Cantico dei Cantici. “Io sono del mio amato e il mio amato è mio”. (6,3).

(1) “L’esperienza di Lenka trova una parziale ispirazione in un personaggio reale, menzionato nel libro: Dina Gottliebovà, che studiò arte a Praga e in seguito lavorò per un breve periodo nei laboratori Lautscher di Terezin, dipingendo cartoline, prima di venire deportata ad Auschwitz. Dina emigrò negli USA dopo la liberazione dei campi, ed è morta nel 2009 in California”.

Alyson Richman, americana, vive a Long Island, New York. I suoi romanzi, tradotti in più di dieci lingue, hanno ottenuto un vasto consenso di critica e di pubblico, tanto negli USA quanto all’estero, e sono stati selezionati e consigliati dai librai indipendenti.

Un giorno solo, tutta la vita è tradotto da Isabella Zani.

Autore: Alyson Richman

Titolo: Un giorno solo, tutta la vita

Editore: Piemme

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 18,00 Euro

Pagine: 342

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“Notte inquieta”

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È calata la notte, il buio scende sulle case, sulle persone, su una Europa che va verso la sua autodistruzione, in quel atroce “gioco alla guerra” del secondo conflitto mondiale. È la Notte inquieta (Marcos y Marcos, 2011) di Albrecht Goes, un uomo che quella guerra l’ha vista con gli occhi, gli occhi di un cappellano militare incapace di accettare quella pagina di storia.

Un cappellano che lascia il sacerdozio per diventare scrittore, a guerra finita. Un cappellano che racconta di un altro cappellano, di un cappellano che deve salvare l’anima di un condannato a morte.

A Proskurov, in Prussia, c’è un viavai di militari. Alcune figure indegne di vivere, altre incapaci di accettare. C’è anche chi si rifugia nella vodka, per non pensare.

Ma di chi è la colpa di questa follia?

L’assurdo di una guerra che i tedeschi sani devono capire che è meglio perdere. Che mondo sarebbe stato se avesse vinto Hitler?

In questa notte che non è notte – ci sono troppo anime che non possono dormire sonni tranquilli – un uomo deve morire perché ha tradito, un altro deve dire “sparate”, un altro deve dare l’estrema unzione. Un altro ancora vuole un attimo di felicità, una notte d’amore prima della tempesta. In un mondo di non uomini si vuole sentire uomo.

E anche il condannato a morte muore perché per sentirsi uomo, per raggiungere l’amore. Anche solo sfiorandolo.

Maledetta guerra, maledetta guerra di Hitler. L’aria di questa notte è pesante ma tra le pieghe spunta un po’ di luce.

C’è una lettera da scrivere, qualche addio da decifrare, da spedire, una giustizia da raggiungere.

E la giustizia è fatta di parole, pensieri, di abbracci, di voci, di ricordi che vivranno sempre.

Notte inquieta è un inno alla speranza, uno sguardo profondo unito ad uno stile lirico, meravigliosamente orchestrato, un volume prezioso per raccontare una barbarie con la voce di chi non ha voluto piegarsi, di chi non si è arreso, di chi ha creduto, a ragione che l’umanità non poteva finire in una di quelle notti.

Albrecht Goes è nato nel 1908 a Langenbeutingen, ha studiato teologia ed è stato ordinato pastore protestante nel 1930.

Ha prestato servizio come cappellano militare durante la Seconda guerra mondiale, e nel 1953 ha deciso di lasciare il sacerdozio e dedicarsi alla scrittura.

È morto a Stoccarda nel 2000.

Figura eclettica di teologo e libero pensatore, ha pubblicato opere poetiche e in prosa. Da Notte inquieta, la più famosa, tradotta in diciotto lingue, sono stati tratti un film e uno sceneggiato televisivo per la bbc.

Autore: Albrecht Goes

Titolo: Notte inquieta

Editore: Marcos y Marcos

Anno: 2011

Pagine: 124

Prezzo: 10 Euro

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“Io e Dio. Una guida dei perplessi”

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Il volume Io e Dio. Una guida dei perplessi di Vito Mancuso (Garzanti 2011) riprende il tema già oggetto della ricerca sviluppata nella precedente opera ”L’anima e il suo destino”: quale è il senso e il fine della nostra vita? Un interrogativo che l’uomo si pone come essenziale e prioritario sin dai primordi della storia. Intorno a questa domanda si sviluppa il discorso appassionato di Mancuso dal momento che, secondo il teologo, ”rispondere a questa domanda è impossibile senza riflettere sul rapporto tra noi e Dio. E’ una domanda che coinvolge l’intero genere umano ma anche “personale”, perchè riguarda ciascuno di noi e alla quale non ci si deve sottrarre.

Lungo il suo percorso logico, ricco di dottrina e denso di richiami ai filosofi e teologi che nel corso della storia hanno meditato sull’esistenza di Dio, spiega e condivide le ragioni della sua profonda fede in Dio.

“Per me affermare l’esistenza di Dio” scrive Mancuso “significa credere che questa dimensione, invisibile agli occhi ma essenziale al cuore, esista, e sia la casa della giustizia, del bene, della bellezza perfetta, della definitiva realtà”. Ed indica come senso della vita il bene, sintesi della giustizia, verità e bellezza, per il quale i credenti devono operare: un compito di enorme portata, che essi sono chiamati a svolgere con consapevolezza, senza attendere aiuti dall’alto, lottando e soffrendo, se necessario, giorno per giorno lungo tutto l’arco della vita. Occorre, inoltre, superare il dualismo fra lo “scientismo ateo e semplicistico” ed il dogmatismo delle autorità ecclesiastiche. L’esperienza spirituale – sostiene con forza e convinzione l’autore – ha più valore della dottrina ed il primato, quindi, deve essere conferito alla coscienza e non alla dogmatica. Insomma, libertà di coscienza e non cieca obbedienza all’autorità: una tesi che, seppure non nuova, sarà presumibilmente al centro dell’attenzione ed oggetto delle dispute più frequenti nel dibattito che questo libro è destinato ad aprire.

Vito Mancuso è nato a Casate Brianza nel 1962. Dopo gli studi nel Seminario arcivescovile di Milano, viene ordinato sacerdote nel 1986. A distanza di un anno ha chiesto di essere dispensato dalla vita sacerdotale e di dedicarsi solo agli studi teologici. Inizia quindi la sua attività lavorativa in campo editoriale prima presso Piemme, quindi Mondadori e San Paolo. Nel 1996 consegue il terzo e conclusivo grado accademico, il Dottorato, in teologia con il massimo dei voti, con una tesi “Hegel teologo e l’imperdonabile assenza del principedi questo mondo”, pubblicata da Piemme.

Seguono, dal 1997 ad oggi, otto opere, tra le quali ricordiamo. “Dio e l’angelo dell’abisso, ovvero la visione cristiana del mondo” (Città Nuova1997), ”Per amore. Rifondazione della fede” (Mondadori, 2005), ”L’anima e il suo destino” (Raffaello Cortina, 2007), “Disputa su Dio e dintorni” con Corrado Augias (Mondadori, 2009), “La vita autentica” (Raffaello Cortina, 2009), che ha avuto anche un’edizione audio con prefazione di Lucio Dalla (Emons ,2010). Il pubblico più ampio ha impparato a conoscerlo attraverso gli articoli che va pubblicando sul quotidiano “La Repubblica”, che spesso hanno suscitato discussioni e polemiche per le posizioni non sempre allineate con quelle delle gerarchie vaticane. Attualmente è docente presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano

Autore: Vito Mancuso

Titolo: Io e Dio. Una guida dei perplessi

Editore: Garzanti

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 16,60 Euro

Pagine: 488

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“Racconti fatali”

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La casa editrice “Nova Delphi” fa scoprire al pubblico italiano i “Racconti fatali” di Leopoldo Lugones, poeta, giornalista, narratore argentino, che ha saputo dare spirito, corpo e sostanza al racconto fantastico sudamericano, considerato da Borges e Cortàzar un vero e proprio maestro. La vita di Lugones fu segnata da numerose svolte e frequenti cambiamenti, sopratutto politici,passò dal socialismo al liberalismo e poi al conservatorismo e infine al fascismo e alla speranza che una svolta autoritaria dell’Argentina potesse portare il Paese fuori da un dibattito che si era aggrovigliato su se stesso. Lugones non chiese mai alla politica, tanto rifiutare, durante il governo militare e conservatore, il direttorio della Biblioteca Centrale Argentina.

Ne i “Racconti fatali” Lugones sembra erigere le fondamenta per la nuova letteratura sudamericana, pulita dagli orpelli del localismo e della costante introspezione e varca le porte Scee del fantastico creando col lettore una sorta di patto  dove il narratore onnisciente dei primi tre racconti (Il vaso di alabastro, Gli occhi della Regina e Il pugnale), conduce per  mano il lettore fino a confonderlo su cosa sia reale e cosa sia fantastico, mescolando come ne “Il vaso di alabastro” e “Gli occhi della Regina” alle importanti scoperte in ambito archeologico che tra l’800 e i primi decenni del ‘900 fecero sognare molti studiosi sulla natura della civiltà egizia e della natura della specie umana stessa. La prosa di Lugones è quindi fantastico-antropologica dove l’uomo/narratore sembra chiedersi il significato delle proprie origini e del proprio futuro, rifugiandosi nell’archetipo della magia e del fantastico. E’ prosa irrazionale e delle origini che però si lega ad un fantastico “reale”, quando ne “Il segreto di Don Giovanni” e in “Agueda” il contesto diventa la quotidianità argentina.

Leopoldo Lugones segna con i “Racconti fatali” proprio una passerella tematica ed ideale tra originario e quotidiano, creando una realtà mitica e forte, che arriva con intatta attualità fino ai giorni nostri, perché il “destino fatale” che lega tutti i racconti, una forza oscura dove, né l’archeologo che muore inebriato dai profumi del Faraone non può che accettare la fatalità della sua scoperta e la fatalità del suo destino, né il Don Giovanni reincarnato che spazia tra luoghi ed epoche, possono opporsi a questo.

La scrittura di Leopoldo Lugones, sapientemente tradotta, è figlia di questo flusso narrativo, scorrevole ed incessante, un ritmo forte che taglia il fiato e ci conduce ad un punto visivo di non ritorno. Lugones si estranea ed estranea la sua scrittura, creando quel mondo originario nella sua Argentina, dove niente è più forte della storia e del destino, lo stesso destino che lo porterà a togliersi la vita in un hotel per cause mai chiarite, ma forse questa opera, può chiarirle, perché Lugones si sentiva parte di quella fatalità, sentendosi figlio della terra e delle idee, opponendosi alla realtà e divenendo parte di quel significato sincretico ed esoterico della terra argentina che ha cercato per una vita intera, ponendo con quel suicido, l’immortalità della sua figura e della sua anima innovatrice che è fondamento della nuova cultura sudamericana. Una raccolta da leggere per capire un mondo nuovo.

Leopoldo Lugones, poeta, narratore, giornalista e storiografo argentino, nasce a Córdoba nel 1874. Fa il suo esordio letterario con l’importante raccolta lirica Las montañas del oro (1897), ispirata da sentimenti umanitari e socialisti, cui seguono Los crepúsculos del jardín (1905) e Lunario sentimental (1909). Nel 1916 riunisce, sotto il titolo di El payador, una serie di conferenze dove, per primo, riconoscerà l’influenza del poema epico Martín Fierro sulla formazione dell’identità culturale del popolo argentino. I suoi racconti riuniti nelle raccolte Las fuerzas extrañas (1906) e Cuentos fatales (1924) sono oggi considerati dalla critica internazionale precursori della narrativa breve in America latina tanto che scrittori come J.L. Borges e J. Cortázar non esiteranno a definirlo loro indiscusso “maestro”. Il 18 febbraio del 1938 Lugones si toglie la vita in un hotel non distante dalla sua amata Buenos Aires per ragioni ancora misteriose.

Autore: Leopoldo Lugones

Titolo: Racconti fatali

Editore: Nova Delphi

Anno: 2012

Pagine: 176

Prezzo: 9 Euro

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“La sonnambula. Ogni cuore nasconde un segreto”

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Il sottotitolo del dramma gotico vittoriano La Sonnambula di Essie Fox (Castelvecchi 2011) è il perfetto sigillo di un romanzo affascinante e avvincente: ogni cuore nasconde un segreto.

Infatti ciascun personaggio cela un segreto nella propria anima legato alle proprie origini, a un sentimento inespresso, a un amore impossibile. Nella Londra della fine dell’Ottocento la cantante lirica Cecily (Cissy) Stanhope possedeva la voce di un angelo. La donna quando interpretava al Covent Garden la parte di Amina nella Sonnambula di Vincenzo Bellini ricordava l’omonimo dipinto del preraffaellita John Everett Millais che ritraeva “una giovane donna coi capelli neri sciolti e indosso solo una camicia da notte di cotone leggero che camminava sul pericoloso orlo di un dirupo”. La ragazza aveva in mano una candela spenta e Phoebe Turner, nipote di Cissy, quando osservava una copia del quadro posta sul piccolo pianerottolo dell’abitazione di Tradegar Square, nel quartiere londinese di Bow che la diciassettenne divideva con l’austera madre Maud e zia Cissy, aveva sempre paura che la sonnambula “potesse uccidersi scivolando e sfracellandosi sulle rocce di un mare grigio e freddo”. I sentimenti della fanciulla erano divisi tra la bigotta Maud, fervente e fanatica membro della missione cristiana dell’Hallelujah Army (L’Esercito dell’Alleluia) del Signor Brown sempre in guerra contro l’alcol, Satana e il Peccato e la dolce zia Cissy, ardimentosa artista del Wilton’s Music Hall nell’East – End dal coreografico soffitto “coronato da un lampadario di vetro con migliaia di cristalli e beccucci del gas accesi”. Dopo la morte improvvisa di Cecily, Nathaniel Samuels, un misterioso mercante di origine ebraica, aveva offerto all’addolorata Phobe di lavorare come dama di compagnia dell’eterea consorte Lydia “aveva stile e profumava di lavanda” a Dinwood Court nell’Herefordshire. Sarebbe stato solo l’inizio di un intreccio di passioni, vendette, gelosie e strani episodi notturni, perché Mrs Samuels soffriva di sonnambulismo oltre ad essere dipendente dal laudano sostanza medicamentosa a base di oppio, tintura di zafferano e morfina allora in voga. “Credo che sia possibile essere perseguitati… dal dolore, dall’amore, dagli sbagli che abbiamo fatto…”. Phobe avrebbe presto compreso che per ritrovare se stessa avrebbe dovuto accettare la verità sulle proprie origini ma soprattutto dimenticare un amore proibito. “Lui era la stella che avevo toccato e non avrei dovuto farlo. Era la luce che mi aveva incenerito”.

The Sonnambulist. Every Heart Holds a Secret folgorante romanzo d’esordio di Essie Fox è candidato al People Book Prize. “Il primo spunto per La sonnambula mi venne quando andai al Wilton’s Music Hall per la messa in scena dell’operetta barocca di Handel Aci e Galatea” ha dichiarato l’autrice nelle pagine finali del volume. I “tragici temi di amore e perdita” contenuti nell’operetta ultima prova di bravura interpretata da Cissy prima di morire percorrono l’intera trama del romanzo, nella quale un’adolescente diventa adulta superando una serie di prove dolorose.”Amanti sventurati! Il fato ha emesso il triste decreto: nessuna felicità durerà”. Sicuramente l’ambiguo atteggiamento di Mr. Samuels nei confronti di Phoebe nasconde qualcosa e i lettori attraverso l’io narrante della giovane avranno modo di scoprirlo in un romanzo che è anche un mystery. “Si può chiamare riscatto, destino, o anche vendetta. Alla fine il risultato è sempre quello: una vita di privazione e rimpianto”. Quanti segreti, misteri e bugie erano celati dietro gli abiti vittoriani e il falso perbenismo di quell’epoca? Innumerevoli, forse tanti quanti quelli contenuti nel romanzo poliziesco per eccellenza The woman in white – La donna in bianco di Wilkie Collins, pubblicato a puntate nel 1959/60 nella rivista di Charles Dicken All the Year Round, al cui libro si riteneva si fosse ispirato Millais per ritrarre La sonnambula. Presentato da una originale copertina color rosa shocking che volutamente si diverte a rievocare le antiche locandine degli spettacoli ottocenteschi delle lanterne magiche il libro contiene una perfetta ricostruzione dell’atmosfera che si respirava nella capitale dell’Impero Britannico durante il lungo regno della regina Vittoria. “Mi intriga l’interesse del tempo per lo spiritismo (“… dando colpi al tavolo e invocando il diavolo”) e i fantasmi. E per il sonnambulismo, che per gli intellettuali era simbolo di sessualità repressa o di apertura a forze occulte”, ha specificato l’autrice in una recente intervista. Se è dunque vero che ogni cuore custodisce dei segreti, Phoebe una volta superati tutti gli ostacoli che il destino le aveva posto lungo il cammino, si sarebbe resa conto che “il pianto può durare tutta la notte, ma la mattina è una cometa di gioia”.

Essie Fox, nata e cresciuta nell’Herefordshire, in Inghilterra, ha lavorato come editor e come illustratrice prima di concentrarsi sul suo vero amore: la scrittura creativa. Sta lavorando al suo secondo romanzo. Vive tra Londra e Windsor insieme a marito e figlia. La sonnambula è tradotto da Marco Bisanti.

Autore: Essie Fox

Titolo: La sonnambula. Ogni cuore nasconde un segreto

Editore: Castelvecchi

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 18,50 Euro

Pagine: 382

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