“Così è la vita. Imparare a dirsi addio”

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Così è la vita. Imparare a dirsi addio di Concita De Gregorio (Einaudi 2011). Vi sono argomenti che pure appartengono alla vita di tutti, che non vengono mai toccati e quasi dimenticati nel nostro conversare quotidiano, ai quali si sfugge, dei veri e propri tabù. İn un’epoca come la nostra in cui dobbiamo tutti apparire giovani o almeno “giovanili”, coprire ventuali defaillances, insomma  apparire sempre in forma, la malattia, la fragilità, la nostra decadenza fisica, la vecchiaia, soprattutto la morte sono diventati temi proibiti. Quando raramente siamo costretti a farlo, ne parliamo di nascosto, con un senso vergogna.

“Chi muore, muore di nascosto. Una sottile discrezione diffusa impone che al malato non si dica cosa gli sta accadendo, che chi gli sta attorno faccia finta do non saperlo.” Scrive uno storico, Philippe Ariès: “Nel nostro tempo si è proibito il tema della morte come nel secolo scorso quello del sesso. La contingenza, la finitezza, la fragilità, la sofferenza e la morte, come la sconfitta, come ogni altro tipo di perdita, non fanno parte del quadro mentale dell’uomo occidentale. Sono avvenimenti secondari, estranei. Sono diventati temi proibiti e difficili”.

Su questi argomenti considerati scabrosi si sofferma e riflette Concita De Gregorio in questo suo libro-inchiesta, in cui, per l’appunto, ci conduce, attraverso una serie di brevi racconti, nei luoghi rimossi dai nostri discorsi. Lo fa con la scrittura piacevole e appassionata della giornalista di razza e, soprattutto, con l’intento di dimostrare che la principale via di uscita dal dolore consiste “nell’attraversarlo, nominarlo, domarlo”. Solo così, conclude, riusciremo a trasformarlo in un’occasione di crescita, in un nostro punto di forza.

Concita de Gregorio è nata a Pisa ove si è laureata in Scienze politiche. Ha iniziato la professione giornalistica presso le radio e le televisioni toscane, per poi passare a “Il Tirreno” , il quotidiano livornese per il quale lavorerà per otto anni. Nel 1990 approda a “La Repubblica”, con il quale collabora tuttora dopo una parentesi di  tre anni (2008/2011) nei quiali ha diretto “ L’Unità”. Nel 2002 pubblica “Non lavate questo sangue. Diario dei fatti del G8 di Genova” (Mondadori). Seguono nel 2006 “Una madre lo sa” finalista del Premio Bancarella 2007, una raccolta di venti storie di madri e di maternità nelle quali racconta la fatica di essere madre “in un mondo ove non c’è posto per le madri”; “Malamore. Esercizi di resistenza al dolore” (2008) sulla violenza contro le donne e, l’anno scorso, “Un paese senza tempo. Fatti e figure di 20 anni di cronaca italiana” (Il Saggiatore).

Autore: Concita De Gregorio

Titolo: Così è la vita. Imparare a dirsi addio

Editore: Einaudi

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 14,50 Euro

Pagine: 118

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“Ammazzarsi per sopravvivere”

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Di libri sul precariato ormai ne sono stati scritti a centinaia, libri-inchiesta, libri ironici, libri-denuncia, tanto da poter dire che è nato un vero e proprio genere narrativo. Dunque non facile trovare dei motivi per i quali un lettore (magari un lettore-precario) dovrebbe mettere le mani al portafoglio (in tempo di crisi poi…) per comprare un altro libro sul precariato. Per fortuna di buoni motivi per comprare questo libro ce ne sono, innanzitutto perché non è un libro sul riscatto e sul ritrovato successo ma sulla sopravvivenza. Ed è alla sopravvivenza che guardano la maggior parte dei precari di oggi. Quella raccontata da Levison non è una sopravvivenza amara e rassegnata ma una vera e propria forma di vita che diventa sempre più simile a quella di un lavoratore errante, un lavoratore votato all’improvvisazione quasi come un attore da palcoscenico. «Sono diventato senza accorgermene, un lavoratore itinerante, un protagonista di Furore dei tempi moderni».

Iain Levison si sveglia, fa colazione e come succede sempre più spesso spulcia tra gli annunci di lavoro. Ormai è un esperto, non di una professione ben inteso, visto che ha collezionato ben 42 impieghi in 10 anni e in 6 Stati, ma della sottile arte di decifrare tra il burocratese degli annunci di lavoro per trovare il perfetto compromesso tra il minimo impegno e il massimo guadagno.

«È domenica mattina e sto spulciando gli annunci di lavoro. Ce ne sono di due tipi: lavori per cui non sono qualificato e lavori che non mi va di fare. Prendo in considerazione entrambi.»

E così Iain si trasforma di volta in volta in tagliatore di pesce di un market per ricchi, in barman per feste private, in conducente di autocisterne, in pirata della televisione via cavo fino a imbarcarsi su una nave per la pesca di granchi giganti nel mare dell’Alaska

Il viaggio di Iain di lavoro in lavoro diventa l’occasione per metterci con lui sulla strada, come nei migliori romanzi on the road, in un’avventura che va da New York fino all’Alaska e ritorno. Un pellegrinaggio lavorativo per conoscere un’America sempre più disorientata e frammentata dietro la sottile facciata del sogno americano.

Non c’è amarezza in questo viaggio ma solo tanto humor e un pizzico di cinismo, tutto quello che serve in fondo per (soprav)vivere come lavoratore errante nell’era della globalizzazione.

La laurea in Lettere forse non gli sarà servita a trovare lavoro ma possiamo dire che sicuramente Levison ha delle bellissime doti letterarie, tanto da trasformare un libro potenzialmente solo amaro e disincantato in un romanzo ironico, incisivo e graffiante, un viaggio sulle strade d’America che ci riporta all’irriverenza di Kerouac e Bukowski.

Iain Levison, nato in Scozia nel 1963, cresciuto negli Stati Uniti, vive nella Carolina del Nord. In Italia sono stati pubblicati Fatti fuori (Instar Libri, 2005), Una canaglia e mezzo (Feltrinelli, 2008). Tradotto in vari paesi, Levison ha suscitato l’interesse della stampa e del pubblico. È considerato un autore di culto. Stando alle ultime notizie, fa il falegname.

Autore: Iain Levison

Titolo: Ammazzarsi per sopravvivere

Editore: Edizioni Socrates

Anno: 2009

Prezzo: 10 euro

Pagine: 160

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“La rilegatrice di libri proibiti”

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“Questo libro nasconde ciò che ho nel cuore… ”. Dora Damage protagonista de La rilegatrice di libri proibiti di Belinda Starling (Beat 2011) così definisce il diario da lei rilegato in marocchino rosso, le cui pagine bianche “attendono solo di essere riempite dalle vicende di un’esistenza liberamente vissuta, secondo l’ispirazione o la grazia divina”.

Vicende singolari accadute cinque anni prima da mettere nero su bianco che sveleranno al lettore un mondo sconosciuto e la figura di una donna straordinaria che scelse di non adeguarsi a “una storia già scritta, una sorte ineluttabile da seguire alla lettera” ma “di affrancarsi dalle catene che gli uomini ci avevano imposto”. Londra 1859. La Legatoria Damage si trovava nel quartiere di Lambeth al numero 6 di Ivy Street “la nostra era l’ultima di quindici case a schiera, una lunga fila di sudice sorelle con i medesimi lineamenti sulle facciate anguste”. Il patrono dei rilegatori San Bartolomeo sembrava essersi dimenticato del “basso e corpulento” maestro legatore Peter Damage afflitto da una dolorosa malattia, l’artrosi reumatica e deformante che gli impediva da qualche tempo di lavorare “le sue dita erano ormai grosse come i sigari che fumava alla fine di ogni giornata di lavoro”. “Se desideri qualcosa, dimezzala” ripeteva la madre di Dora alla figlia, infatti “la vita che facevo a Lambeth insieme a Peter mi diede modo di mettere in pratica questo insegnamento”. Dora e la figlioletta Lucinda di 5 anni soggetta a crisi epilettiche, non avevano futuro costrette a vivere in precarie condizioni in una casa fatiscente di proprietà della funerea signora Eeles, che “aveva una spiccata predilezione per la morte”, sollecitata dal continuo passaggio della Necropolitan Railway, che faceva vibrare “la casa fino alle fondamenta”, macabra linea ferroviaria che trasportava “i feretri e i parenti in lacrime giù fino a Woking, dove era stato costruito il più grande cimitero del mondo”. Alla disperata ricerca di una commissione per la legatoria, gli stivaletti di Dora “ripresero il loro ritmo cadenzato” nel ventre miserevole e sordido di Londra, nei meandri di stradine senza uscita e di vicoletti, ascoltando il respiro della capitale dell’Impero Britannico della Regina Vittoria, cioè “quell’aria fredda e untuosa” tipica della città. Le punte dei piedi della giovane donna l’avevano condotta davanti alle vetrine del negozio di stampe al 128 di Holywell Street, di proprietà del viscido Charles Diprose libraio e importatore di specialità francesi e danesi. Il rubizzo Diprose aveva commissionato a Dora la rilegatura di una serie di testi particolari considerati immorali, libri che il miglior cliente del libraio Sir Jocelyn Knightley, medico, studioso, scienziato e avventuriero intendeva diffondere tra i membri della confraternita segreta denominata Sauvages Nobles. Questi bibliofili aristocratici si dilettavano nella lettura di libri proibiti quali il Decamerone di Boccaccio tradotto nel 1620 da John Florio, Fanny Hill, le memorie di una donna di piacere di John Cleland, l’Ars Amatoria di Ovidio, testi di anatomia, ecc… tutti volumi ai quali Dora con la squisita fattura delle sue copertine decorate avrebbe creato una degna cornice. “La nostra letteratura è casta e malata perché la nostra società lo è”.

The Journal of Dora Damage edito per la prima volta nel 2006 dalla casa editrice Bloomsbury è il ritratto di una donna anticonvenzionale che ebbe il coraggio di sfidare per necessità la morale e le retrive e ottuse leggi del suo tempo. La corporazione dei rilegatori vietava il lavoro alle donne “non consentirò che andiate a ingrossare le fila delle donnacce che rubano il pane agli onesti operai e alle povere famiglie”. Inoltre la legge sulle pubblicazioni oscene il Lord Cambell’s Act stabiliva che “non era illegale possedere opere letterarie di genere immorale ma solo pubblicarle e diffonderle”. Se tutto questo non fosse stato già abbastanza la Società per la Soppressione del Vizio che era stata fondata agli inizi dell’Ottocento dalla Chiesa d’Inghilterra “collaborava con le autorità di polizia, fornendo loro informazioni sulla vendita, la distribuzione o l’esposizione di informazioni oscene”. Dora coadiuvata dall’apprendista Jack Tapster avrebbe creato sensuali e seducenti rilegature che avrebbero risvegliato i suoi sensi sopiti da un matrimonio senza amore e passione. “Il lavoro di rilegatura mi dava soddisfazione”. L’arrivo nella bottega artigiana di Din Nelson ex schiavo di colore proveniente da Baltimora liberato dall’Associazione femminile per l’Assistenza ai Profughi dalla Schiavitù di gentildonne alla quale faceva parte Lady Sylvia Knightley aprì gli occhi a Dora facendole imparare molte cose “sui misteri del cuore e del corpo”. Nella Londra del 1859 dove “un gruppo di profughi e rinnegati progettavano la demolizione di un istituto vecchio di secoli come lo schiavismo”, una figura femminile di stampo moderno “geniale, piena di creatività e coraggio” splendeva di luce propria in un ambiente ipocrita e falso perbenista. “Nell’ideare una copertina mi sforzavo sempre di distillare l’essenza del libro in ciò consisteva la mia modernità”.

Possiamo definire il romanzo edito da Neri Pozza nel 2009 e divenuto subito un bestseller, come un neo – feuilleton, cioè appartenente a quel popolare genere letterario che andava in voga tra la fine del XIX e l’inizio del XX Secolo e che è ritornato di moda oggi. La coinvolgente storia di Dora Damage conduce il lettore attraverso una trama ricca di colpi di scena e avvenimenti imprevedibili portandolo alla scoperta di un mondo finora sconosciuto, quello della rilegatura dei libri a mano, fatto di dedizione e passione. “Sebbene siano frutto della mia fantasia, i personaggi e gli eventi di questo libro sono largamente ispirati alla realtà”, così scriveva nelle note finali del volume l’autrice prematuramente scomparsa senza aver potuto vedere il suo emozionante e talentuoso libro pubblicato. “Perfer et obdura, dolor hic tibi proderit olim” (Sopporta e fortificati, un giorno questo dolore ti gioverà). Publio Ovidio Nasone Amores III, 11.

Belinda Starling viveva a Wivenhoe, nell’Essex. È scomparsa l’11 agosto del 2006 a soli 34 anni in seguito a un intervento chirurgico.

La rilegatrice di libri proibiti è tradotto da Massimo Ortelio.

Autore: Belinda Starling

Titolo: La rilegatrice di libri proibiti

Editore: Beat

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 9,00 Euro

Pagine: 443

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“Storia proibita di una geisha”

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Mineko Iwasaki, una delle geishe più famose di Gion Kobu e di tutta la storia del Giappone, scopre il velo di mistero attorno alla figura di “artista” che ha rappresentato per lunghi anni della sua vita. Con l’aiuto della scrittrice americana Rende Brown, dipinge un affresco intimo e coinvolgente della vità di una “donna d’arte”. Continue reading

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“Fai bei sogni”

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“Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo” scriveva qualche anno fa Italo Calvino e oggi Massimo Gramellini con “Fai bei sogni” (Longanesi), racconta una ferita, fatta di solitudine e amarezza, di lotta contro un mostro e una paura di vivere, una ferita  provocata dalla morte della madre la mattina dell’ultimo dell’anno del 1966.

In quella mattina che rimane fissa ed eterna nella memoria di un bambino come tanti che perde non solo la madre ma anche l’innocenza, facendosi domande che un bambino non dovrebbe mai porsi. Frutto di quelle domande è Belfagor, il mostro che cova dentro il suo animo, un rancore istintivo nei confronti della vita che lo fa affondare ogni qual volta cerca di respirare. Un percorso lungo che passa per una narrazione semplice e scorrevole, mai pietistica che ci restituisce un libro importante, non tanto per la sua natura biografica, ma quanto per la riflessione intima e struggente sul dolore, dolore che spesso tendiamo a dimenticare, dolore che il piccolo Massimo vive inseguendo figure materne spesso inadatte o trincerandosi dietro grandi silenzi, dolore che diventa cemento per le solide fondamenta del Massimo Gramellini che conosciamo oggi che ha sempre trattato la vita con intensa leggerezza.

I tratti narrativi dell’autore si confermano coinvolgenti e sinceri, non c’è la voglia di trattare la vicenda personale come un noir, strada intrapresa purtroppo da molti, ma c’è la volontà di mettere un punto e di condividere un pezzo importante della propria vita trasformandola in narrazione collettiva, perché “Fai bei sogni” è  un libro che racconta l’Italia che eravamo e quella che siamo diventati, un libro che ci spiega la sottile differenza tra il male di viver e la paura di vivere, che congela amore e sentimenti, paure e sogni, perché la paura di non essere amati taglia le gambe al futuro.

Le passioni di Gramellini,  come il Torino, i Police, la lettura e quella casa davanti allo Stadio sono l’anagramma emozionale del nostro pensiero e ci riconsegnano la dignità del dolore e di un percorso di vita fatto di ricerca per comprendere la radice e la causa per cui quella morte brucia come una ferita ancora aperta, una ferita che solo altro amore ha saputo sanare.

Si arriva a provare una buffa nostalgia alla fine del libro, un positivo afflato del cuore che ci rimane attaccato alle mani, agli occhi e ci fa capire meglio chi siamo e quanto dolore spesso mettiamo da parte, sacrificato all’altare delle virtù e del pubblico rispetto.

La verità per Massimo Gramellini la troverà in una busta gialla, in un ritaglio del quotidiano dove oggi è vicedirettore, la verità per quel bambino è la spada che riesce ad uccidere Belfagor.

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“Il meglio della vita”

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La ventenne Caroline Bender con le sue coetanee cerca di ottenere Il meglio della vita, scritto da Rona Jaffe (Beat 2012). Cult di una generazione indicò alle giovani donne americane la via da seguire per emanciparsi attraverso il lavoro e la realizzazione di se stesse. “Ogni mattina, alle nove meno un quarto, si vedono emergere dalle viscere della metropolitana, uscire in fila dalla Grand Central Station, attraversare Lexington Avenue, Park Avenue, Madison Avenue, la Quinta Strada: centinaia e centinaia di ragazze”.

Un esercito femminile che partiva alla conquista del mondo, perché You deserve the best of everythings, ti meriti il meglio della vita. Una frase tra gli annunci lavorativi del New York Times diede a Rona Jaffe l’idea per il titolo del romanzo diventato a poche settimane dalla sua pubblicazione un bestseller, nel quale ciascuna donna si riconosceva ritrovando i suoi sogni, le speranze e la sua vita quotidiana. Caroline Bender “alle otto e tre quarti di mercoledì mattina, 2 gennaio” anche lei, come tante altre impiegate, uscì dalla Grand Central Station avviandosi verso downtown. Il viso grazioso e intelligente di Caroline brava ragazza di buona famiglia spiccava in quella “gelida, nebbiosa mattina di pieno inverno a New York”. La giovane era emozionata, perché “era il primo giorno del primo impiego della sua vita” come dattilografa presso la casa editrice Fabian che “occupava cinque piani ad aria condizionata in un edificio moderno di Radio City”.

The Best of Everything pubblicato nel 1958 da Simon & Schuster è un romanzo sulle ragazze che lavorano basato sull’esperienza della stessa Rona Jaffe che, dopo essersi laureata alla Radcliffe, aveva lavorato per quattro anni presso la casa editrice Fawcett Pubblications passando in breve tempo da impiegata a editor, come avviene alla protagonista del suo primo libro. “Erano le nove e la sala andava rapidamente popolandosi di ragazze, nessuna delle quali badava a lei”. L’ambiziosa Caroline donna in carriera, Mary Agnes “magra, scialba, coi capelli neri e ondulati” dalla vita programmata, April Morrison “grandi occhi azzurri e lentiggini sul naso ben disegnato”, Gregg Adams attrice e segretaria provvisoria della temibile Miss Amanda Farrow, Barbara Lemont così giovane e già divorziata con una bambina piccola. Sono tutti stereotipi per descrivere eterne fidanzate, aspiranti tali o “ragazze single alle prese con il primo impiego in città, minuscoli e costosi appartamenti in condivisione, l’esaltante libertà delle chiacchiere tra amiche, e poi il sesso, la verginità, l’aborto, le prime esperienze di mobbing, la ricerca del principe azzurro, il miraggio del matrimonio”. Così ha scritto Daniela Pagani nella bella postfazione La giungla nel rossetto pubblicata nell’edizione Neri Pozza (2007) del volume. In questa interessante e realistica cronaca proveniente dall’America degli anni Cinquanta dove le donne cercavano percorsi alternativi alla solita, scontata carriera matrimoniale, gli uomini appaiono come relegati in un angolo, sbiaditi, privi di colore, messi in ombra dalle giovani in cerca di riscatto. L’autrice in una delle sue ultime interviste concesse definì il suo bestseller come “una storia molto umana e universale sulla differenza tra ciò che una donna vuole e ciò che invece si trova ad avere”. Un libro coinvolgente che ripropone l’eterno dilemma su come si possa conciliare successo professionale con quello personale. Lavoro e carriera o matrimonio e figli? Come conquistare oggi come ieri “il meglio di ogni cosa?” “Non lasciarti intrappolare da qualche bravo ragazzo che la tua famiglia ti metterà davanti. Tu hai cervello, hai un futuro … sposa soltanto un uomo che rispetti. Se ti sposi con uno che non rispetti abbastanza, ne morirai”.

Per chi volesse approfondire l’eterno dibattito donna – lavoro segnaliamo questo interessante articolo Il valore delle donne di Cinzia Sasso apparso sul quotidiano La Repubblica il 20 Febbraio scorso. “Se quel famoso impegno preso a Lisbona (1), il 60 per cento delle donne occupate, diventasse realtà, in Italia il Pil salirebbe del 7 per cento”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/02/20/il-valore-delle-donne.html

(1) Strategia di Lisbona programma di riforme economiche tra le quali uguali opportunità per il lavoro femminile approvato a Lisbona nel 2000 dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea.

Rona Jaffe (1931 – 2005) ha scritto numerosi libri di successo, quali Class Reunion, Family Secrets, The Last Chance, Mr. Right is Dead.

Da Il meglio della vita tradotto da Marina Bonetti è stato tratto nel 1959 un film di successo The Best of Everything regia di Jean Negulesco interpretato da Hope Lange, Diane Baker, Suzy Parker, Stephen Boyd, Louis Jourdan e una magnifica Joan Crawford.

Autore: Rona Jaffe

Titolo: Il meglio della vita

Editore: Beat

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 9,00 Euro

Pagine: 560

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Un gran libro ritrovato: Stoner

stoner-faziVoglio dirlo subito, uno: non è per niente facile scrivere come John Williams, sebbene a uno sprovveduto potrebbe capitare di pensare il contrario. Due: non lo è nemmeno scrivere del suo gran libro, Stoner, tradotto ora da Fazi, pubblicato per la prima volta nel 1965, in seguito consegnato all’oblio, fino alla riedizione del 2006 dalla New York Review Books. Continue reading

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“Non vado di fretta”

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Una storia d’amore che è anche romanzo di formazione. L’esordiente napoletana Valeria Venturi in Non vado di fretta (Photocity, 2011) racconta con passione le vicende di Francesca e Gianluca, che dai banchi di scuola arrivano agli anni della maturità, scoprendo che non sempre il sentimento basta a colmare le differenze, ma che talvolta il ricordo del vissuto può essere più importante del presente. Continue reading

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