“Le leggende del nonno…”

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Le leggende del nonno di tutte le cose è un libro di favole che nasce esso stesso da una favola, o almeno da una storia che ci piacerebbe fosse una favola. Mauricio Rosencof è stato detenuto per tredici anni in isolamento, nella sua cella non poteva tenere nessun oggetto personale e ben che meno avere carta e penna per scrivere, ma che una volta al mese riceveva la visita di sua figlia Alejandra, una bambina nata essa stessa in caserma, perché sua mamma era incinta quando è stata arrestata. E per sua figlia, per farle dimenticare lo squallore del parlatorio del carcere, inventava storie. Queste storie sono poi state scritte e raccolte in questo libro, non solo per sua figlia che ormai era diventata grande, ma anche per la sua nipotina e per tutti i bambini che nelle proprie labbra nascondono queste parole: “Raccontami una storia”. Sono storie piene di bellezza e di libertà, cosa eccezionale considerando le condizioni nelle quali sono state concepite.

Quattordici favole per raccontare la creazione del nostro mondo, o meglio della creazione della bellezza nel nostro mondo. Nella mente di Rosencof e nelle parole del “Nonno della Sera” il sole è un alveare di lucciole e i primi fuochi bruciavano senza fumo, che arrivò come regalo degli abitanti di Urano. I soffioni non sono altro che piccoli soli, bianchi e leggeri inviati da Venere per far compagnia alle bambine che giocavano da sole; e in una Terra in cui le arance erano verdi (dolci ma verdi) i Pesci Arancioni di Marte intrapresero una traversata per portare il loro colore a completare l’arcobaleno e a colorare il fuoco dell’Uomo Primitivo.

Sono favole dai toni delicati queste, piene di colori, di dolcezza e di magia. Ci troviamo davanti a racconti solo in apparenza leggeri ma che, attraverso il linguaggio semplice delle fiabe, ci testimoniano come sia possibile, anche nella privazione della dittatura, conservare la propria integrità interiore grazie alla conservazione della memoria, alla pratica dell’immaginazione e al gusto di narrare.
Ad arricchire il libro ci sono l’introduzione di Diego Sìmini, docente di Letteratura spagnola presso l’Università del Salento e la postfazione sulla vita di Mauricio Rosencof di Serena Ferraiolo, docente di Lingua e letterature ispanoamericane all’Università di Salerno. A chiudere troviamo le belle illustrazioni dai toni pastello di Elisabetta Rossini che contribuiscono a dare colore a ognuna delle storie.

“Questa è la Leggenda di una Barchetta di Carta. Non di una qualsiasi, ma della prima. Di quella che arrivò sulle coste della Terra nei Tempi dell’Antichità, da dove solitamente provengono le Cose di Prima. Molti credono che la prima barca sia stata fatta con un foglio di quaderno. Altri studiosi di storia navale sostengono che fu costruita con un foglio di diario. Ma nell’Antichità non esistevano librerie, né diari, né quaderni. C’era solo un Mare calmo e verde, prima che il Vento arrivasse, e fiumiciattoli di sabbia dove i piedi nudi dei bambini ridevano, allargando le dita per il solletico provocato dalla sabbia dorata che camminava dolcemente sul dorso dei piedi.”

“Questa fiamma rossa che brilla da un albero all’altro e viene qui per posarsi in questa mano (dove berrà sorsi d’acqua che conservo per lei nella conca del mio palmo), è un uccellino che nacque dal Fuoco. Si chiama Churrinche. Il Nonno della Sera fece una pausa nel suo racconto al vento, mentre la fiamma, senza bruciarlo, piegava le sue ali e si posava sul pollice.”

Mauricio Rosencof è uno scrittore, giornalista, drammaturgo e politico uruguayano. È stato dirigente del Movimento di Liberazione Nazionale uruguayano – Tupamaros. Venne arrestato nel 1972 e dichiarato “ostaggio” della dittatura insieme ad altri otto detenuti. Nel 1985, dopo tredici anni di isolamento e torture fisiche e psicologiche, fu liberato. Attualmente vive a Montevideo. In Italia sono stati pubblicati Le lettere mai arrivate, Le Lettere, Firenze 2008 e Memorie dal calabozo, Iacobelli, Roma 2009.

Autore: Mauricio Rosencof

Titolo: Le leggende del nonno di tutte le cose

Editore: Nova Delphi Libri

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 14 euro

Pagine: 120

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“La cognizione del dolore”

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Come ha precisato Gadda in una sua intervista RAI il titolo “La cognizione del dolore” (Garzanti, 2010) va inteso letteralmente: “cognizione” è quel procedimento conoscitivo che porta ad una determinata nozione. Un procedimento che può apparire amaro, lento, sofferto e può passare attraverso esperienze atroci della realtà. Un titolo che ha in sé un insegnamento morale ed è lontano da ogni sorta di felicità o illusione.

Si arriva al nucleo della storia passando per una descrizione dettagliata del Maradagàl, un paese sudamericano inventato, reduce da una guerra aspra con il Parapagàl. Un artificio che non nasconde nulla, nemmeno gli elementi più apertamente autobiografici. Gadda vuole “intorbidare le acque” ma sono evidenti i riferimenti al nostro paese, al suo privato e il suo Gonzalo non è altro che un alter ego di Carlo Emilio. Un uomo che non sente l’affetto di sua madre, che non ha conosciuto realmente la guerra, come il fratello morto, e cova dentro rancore.  Si trova a raccontare il suo dramma esistenziale, a tratti, al suo dottore, non sopporta la bontà della madre verso i servi che si comportano da parassiti irriconoscenti e soffre una solitudine che non ha eguali.

Gadda non rinuncia all’ironia, sempre presente come negli altri suoi lavori, ma non ammicca al lettore, alcuni passaggi sono ostici e lirici, anche per via di un melange linguistico che unisce spagnolo, italiano e, a tratti, napoletano. Non c’è narrazione in prima persona, non è presente una classica confessione diaristica. C’è solo un meccanismo ben articolato, preciso, congegnato, che non lascia spazio ai sentimenti  incentrandosi prettamente sullo stile, spesso volutamente artificioso e forzato.

Pubblicato a puntate tra il 1938 e il 1941 sulla rivista “Letteratura”, “La cognizione del dolore” fa la sua comparsa nelle librerie solo nel 1963 ed è, oggi, considerato come uno dei libri più importanti del Novecento italiano. Questa ristampa può essere un’occasione importante per conoscere un grande scrittore e un titolo fondamentale.

Carlo Emilio Gadda oltre a “La cognizione del dolore” è autore anche di “L’Adalgisa” e “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana”. L’intera sua opera è raccolta nella prestigiosa edizione curata da Dante Isella nei volumi della collana Garzanti Novecento.

Autore: Carlo Emilio Gadda

Titolo: La cognizione del dolore

Editore: Garzanti

Anno di pubblicazione: 2011

Prezzo: 12 euro

Pagine: 210

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“Mio fratello il Papa”

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Un uomo, un fratello, prima di essere il Capo della Cristianità, il 265° Papa della Chiesa Cattolica e Vescovo di Roma. È Joseph Ratzinger visto dal fratello maggiore Georg, che ha scritto con Michael Hesemann Mio fratello il Papa (Piemme 2012) un ritratto inedito del Sommo Pontefice della Chiesa Universale eletto Papa il 19 aprile 2005.

L’ex maestro di cappella che ora vive a Ratisbona e che lo scorso 29 giugno 2011 ha festeggiato insieme al Papa “le nozze di diamante, cioè il sessantesimo anniversario della loro ordinazione, avvenuta nella cattedrale di Frisinga nel 1951”, insieme allo storico del Cristianesimo rievoca la lunga vita del Pontefice. Ecco quindi la nascita di Joseph il 16 aprile del 1927 nel villaggio di Marktl am Inn in Baviera “nei dintorni di Altötting, dove sorge il celebre santuario della Madonna Nera”, l’infanzia, l’avvento del nazismo “i nostri genitori ci avevano solo detto che Hitler era un uomo malvagio, un terribile criminale”, l’adolescenza “era un ottimo studente”, la guerra, la vocazione sacerdotale e “la straordinaria carriera tedesca, da figlio di un commissario di polizia a guida spirituale di 1,3 miliardi di cattolici”. L’interessante libro – intervista pubblicato dall’editore Herbig di Monaco e arricchito da una quarantina di fotografie, puzzle della famiglia bavarese del Pontefice e di una vita intera, è il resoconto di una serie di colloqui che si sono svolti a Ratisbona nella tarda primavera dello scorso anno tra Monsignor Ratzinger e il giornalista/scrittore. “Gli faccio visita in vari momenti dell’anno”, perché il legame tra Georg e Joseph non si è mai spezzato, anzi con il trascorrere del tempo si è fatto più intenso, soprattutto dopo l’elezione di Joseph Ratzinger al soglio di Pietro. “Il rapporto con mio fratello è rimasto praticamente lo stesso. Ora nella preghiera rivolgiamo al buon Dio richieste molto diverse rispetto al passato, ma nella nostra relazione personale è tutto come prima”. Georg Ratzinger rivela che al piccolo Joseph piacevano i dolci che preparava la mamma e gli orsi di pezza e afferma “eravamo un cuore e un’anima sola” fin da piccoli. Incuriosisce come si svolge la giornata del Santo Padre: “nei giorni feriali pranza alle 13.15, mentre la domenica alle 13; poi fa una breve passeggiata nel giardino del Palazzo Apostolico, perché “Post coenam stabis vel passus mille meabis” (Dopo mangiato devi riposare o fare mille passi) e “in estate preghiamo sempre insieme il breviario, mentre alle 19.00 fa una passeggiata nei giardini vaticani o in quelli di Castel Gandolfo, recitando il rosario insieme al suo segretario, monsignor Georg Gänswein. In inverno, invece, siccome diventa buio presto, esce alle 16.00. Verso le 18.00 vengono programmate le udienze”. Il programma preferito in tv di Benedetto XVI è “la serie del Commissario Rex, anche perché ci piacciono i cani” però “mio fratello guarda raramente la televisione, al massimo un film che parla del Vaticano o di una prossima canonizzazione o beatificazione”.

In Mein Bruder, der Papst la voce di Georg Ratzinger diventa protagonista e cronaca di un racconto incalzante, emozionante “Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Josephum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Ratzinger. Quando sentii quella parola rimasi pietrificato. Sinceramente devo dire che in quel momento mi sentii scoraggiato, abbattuto. Per lui era una grande sfida, un impegno gravoso, pensavo tra me, ed ero seriamente preoccupato”. L’autore ricorda che per il Papa “la sua elezione era stata come un fulmine a ciel sereno” che Benedetto XVI aveva accolto con serenità, consapevole di abbandonarsi al volere di Dio che gli affidava questo alto compito. Il Santo Padre ha scelto di chiamarsi Benedetto, perché ha sempre avuto una venerazione per il Santo di Norcia che considera il suo primo padrino e protettore ma anche per motivi estetici ed etimologici “gli piacevano sia il suono che il significato (dal latino benedicere), benedetto da Dio e benedizione per gli altri, ma gli sembrava anche adatto per un pontefice”. Nell’introduzione Michael Hesemann confessa di essere rimasto colpito dal racconto di Georg Ratzinger sui primi anni di formazione di Benedetto XVI. Ne risulta, infatti, il ritratto di una famiglia che, grazie a una fede vissuta intensamente, riuscì a resistere a tutte le avversità del tempo, comprese le malvagità del regime nazista”. Un libro/dialogo, un profilo singolare che disvela sotto una nuova luce l’uomo e il Pontefice che si vede e si definisce come “un umile servitore nella vigna del Signore” perché comprende “molto chiaramente qual è il confine tra uomo e carica e conosce i suoi limiti”. Al termine di questa lunga conversazione Georg Ratzinger, la persona più vicina a Benedetto XVI, si augura che suo fratello “possa sempre adempiere al suo incarico di successore di Pietro liberamente e nel modo migliore. Desidero anche che un giorno, nell’altra vita, dove ognuno di noi sarà giudicato, superi l’ultimo esame di fronte al Padre celeste e tutto finisca bene. Di questo ne sono convinto”

Georg Ratzinger (Pleiskirchen, 15 gennaio 1924) è un presbitero, musicista e direttore di coro tedesco. È il fratello maggiore del Papa Benedetto XVI. Nel 1946, assieme al fratello Joseph, entrò in seminario e fu ordinato sacerdote con lui nel 1951. Ratzinger completò i suoi studi musicali nel 1957, divenendo maestro di cappella a Traunstein. In seguito, nel 1964, divenne direttore del coro della cattedrale di Ratisbona, noto come Regensburger Domspatzen, che diresse fino al 1994. Alla guida del coro di voci bianche e del coro a voci virili della cattedrale di Ratisbona, il maestro Ratzinger ha eseguito centinaia di concerti in tutto il mondo, partecipando a rassegne corali internazionali di musica sacra.

Michael Hesemann nato nel 1964, è uno storico, giornalista e scrittore tedesco. Ha studiato storia a Gottinga ed è un autore famoso a livello internazionale, oltre che giornalista specializzato in Storia della Chiesa. Lavora come free lance per il Vatican Magazin. Vive fra Düsseldorf e Roma. Ha pubblicato vari saggi di Storia della Chiesa tradotti anche in Italia.

Mio fratello il Papa è tradotto da Anna Maria Foli.

Autore: Georg Ratzinger con Michael Hesemann

Titolo: Mio fratello il Papa

Editore: Piemme

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 16,50 Euro

Pagine: 272

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Intervista Carlo Ziviello

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Perché avete deciso di diventare editori?

Ad est dell’equatore è stata fondata dai fratelli Ciro e Marco Marino nel 2008, allora poco più che ventenni. Il senso del loro sogno – e del nostro, Carlo Ziviello e Guglielmo Gelormini, che siamo entrati in società un anno dopo – si riassume in questo: “I libri sono la nostra scommessa: farli, oggi, è difficile, ma  noi  crediamo  ancora che possano inventare  il migliore  dei mondi possibili.” Da allora non è cambiato molto; fare libri è ancora una scommessa, a crederci con noi, però,  oggi si sono aggiunti altri!

Come pensate di distinguervi nel panorama editoriale italiano?

Con qualità e originalità, soprattutto.  Scegliamo strade diverse non solo come contenuti, ma anche come strategie di marketing: le bESTie, un diverso modo di permettere agli esordienti di accedere al mercato editoriale basato sulle produzioni dal basso – il crowdfunding, per intenderci – è tra questi.

Come giudicate lo “stato di salute” dell’editoria campana?

Ci sono editori storici che non sono sempre riusciti ad uscire dalla dimensione dell’editore-persona per diventare azienda, e si identificano troppo con la figura del fondatore, nel bene e nel male. Ci sono case editrici giovani e molto attive, tra cui speriamo di rientrare, che però soffrono per problemi dimensionali e finanziari. La vera criticità dell’editoria campana, e in generale del mezzogiorno, è la distanza dai centri culturali del paese: Roma e soprattutto Milano. L’editoria campana vive spesso del proprio mondo culturale – sia in termini di autori che di contatti con la stampa e i media. Una sorta di autoreferenzialità geografica che, se in termini di fecondità culturale aiuta molto – Napoli è e resta una città culturalmente molto viva –  non aiuta invece per ciò che concerne la visibilità. Quello che proviene da Napoli, se non parla di camorra o ecomafia, resta poco visibile e raramente raggiunge quel mercato che non a caso viene definito nazionale.

Come scegliete i libri (e gli autori) per il vostro catalogo?

Abbiamo un’identità editoriale precisa e decisa: colori forti, testi rapidi e taglienti, contenuti originali, storie brevi ed incisive per ciò che riguarda la narrativa, senza dimenticare le collane che trattano di indagine sociale. Prendiamo in considerazione i manoscritti che rispettano queste caratteristiche, senza dimenticare che all’autore è richiesto di impegnarsi attivamente – e soffrire, se necessario – al nostro fianco nella promozione del libro.

Quale dei vostri libri consigliereste a chi non vi conosce?

Direi tutti; abbiamo creduto in ogni singolo libro che abbiamo pubblicato; oggi, tra le novità, direi sicuramente Pane e Peperoni, autobiografia di Peppe Lanzetta in uscita ad aprile. 3 volte 10, una trilogia di racconti surreali su Maradona – che con l’icona del calciatore non hanno niente a che vedere – scritta da Davide Morganti. Tra i romanzi, Quis ut deus, di Paolo Logli, pubblicato l’anno scorso e già alla seconda ristampa. Direi anche Inferno di Gianfranco Marziano, autore cult non solo in Campania, che purtroppo però è esaurito.

Come avete definito le vostre collane?

Riporto dal nostro sito:

Virus: Romanzi e racconti lunghi per raccontare il nostro tempo attraverso la lente deformata di ciò che siamo. Romanzi pop, acidi, dai colori irreali o surreali, con in ogni caso un passo diverso rispetto alla realtà, troppo avanti o decisamente troppo indietro. Romanzi che entrano dentro, come virus appunto, e lentamente modificano il dna della vostra struttura mentale

Extras: Libri che non scorrono su un piano stabile. Che non hanno una geografia e un identità immediata. Che si collocano dovunque. Cataloghi, narrazioni multimediali, spin off. Tutto ciò che è extra collana e anche oltre.

Liquid: La letteratura alta, o altra. Poesia soprattutto. La letteratura che si mette di proposito le classifiche di vendita e il mercato alle spalle, per avere davanti una sola cosa: l emozione. Letteratura liquida, che non ha una forma immediata, letteratura del nostro tempo che si muove incessantemente, e che solo le parole possono provare a fissare.

Ni Mu: Romanzi che affondano nella realtà. In qualche modo l opposto dei Virus. Romanzi che recuperano la grande tradizione della letteratura d impegno civile, narrazioni che impattano sulle coscienze e che non smettono mai di ricordarci che la vera letteratura non e fatta per intrattenere ma per scuotere.

Cubi: Immagini che bucano la carta su cui sono stampate raccontando realtà invisibili, ora vicine, ora lontane. Che si tratti spazi deserti, periferie dimenticate o centri ipermondani, i Cubi descrivono tutto quanto l’occhio da solo non riesce a raccogliere. Viaggi fotografici che attraversano il quotidiano con curiosità e precisione, pescando nell’insolito, sciogliendo il difficile, fissando memorie.

Barbari: Saggi dal passo lungo e meditato, e instant-book  per cogliere i fermenti più immediati del nostro tempo. In ogni caso, strumenti di conoscenza perché la narrazione della realtà deve necessariamente passare per un’analisi accurata di essa. L’intento è quello di cogliere gli impulsi di ricerca nella loro forma più diretta, per informare e, se necessario, per contro informare.

E la veste grafica delle vostre collane?

Usiamo colori primari, non di rado pantoni fluo, e disegni o immagini forti. Credo sia uno degli aspetti di maggior riconoscibilità che abbiamo.

Com’è il vostro rapporto con la distribuzione e le librerie?

Abbiamo un’ottima distribuzione nazionale, PDE; con le librerie, ci aiutiamo cercando di consolidare rapporti diretti.

Fino adesso come giudicate la risposta dei lettori al vostro progetto?

Alterna: ottima dal punto di vista della visibilità o dell’attenzione. Le vendite, però, stentano a decollare; ma questo è un punto che condividiamo con molti altri piccoli editori e fortemente dipendente dalla congiuntura economica.

Cosa pensate del fenomeno dell’editoria digitale? Quali rischi e potenzialità intravedete?

Né  rischi né potenzialità. L’editoria digitale è uno strumento del tutto diverso, a nostro parere. Un nuovo modo di fruire la letteratura, che richiede a nostro parere testi diversi, studiati per strumenti diversi, e che va affrontata in modo del tutto diverso rispetto all’editoria cartacea.

Quali sono i vostri prossimi progetti?

Ad Aprile uscirà Mariano Baino, uno dei più importanti poeti italiani viventi, con un romanzo che definirei spiazzante. A maggio pubblicheremo due racconti neri di Giancarlo De Cataldo, in linea con lo stile dell’autore di Romanzo Criminale mentre a giugno uscirà un saggio-reportage scritto in diretta sulla rivoluzione in Libia di Lucia Goracci, inviata del TG3 in medio oriente. In prospettiva, vogliamo aprirci alla letteratura straniera, soprattutto nordamericana e sudamericana: a settembre uscirà per i nostri tipi l’opera forse più importante di Alejandro Morales, tra i maggiori esponenti della letteratura chicana mondiale, del quale tradurremo per la prima volta in italiano Caras viejas y vinho nuevo.

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Italia: la massoneria al potere

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Con l’insediamento di Mario Monti a capo del governo, si è ritornato a parlare di massoneria, dato che il personaggio è legato a quei club di potenti che sembrano decidere le sorti del mondo come il Bilderberg e la Trilateral Commission (di cui fa parte, tra l’altro, anche l’onorevole Enrico Letta). Continue reading

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“Lo scrittore e l’altro”

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Scrivere dello scrivere è (stata) una pratica diffusissima – soprattutto nel ‘900. Al punto che il serpeggiante sospetto di una via di fuga anche furbastra e stucchevole di scrittori a corto di idee è parso fondato. Si può andare avanti per decine di pagine per dire che non si ha niente da dire – chi ne ha fatto paradossalmente una fenomenologia della scrittura, o un’antropologia dello scrittore, chi ci ha ingloriosamente marciato.

Carlos Liscano – o almeno colui che non teme di utilizzare ne “Lo scrittore e l’altro” il nome dell’autore uruguaiano, nato nel 1949, la sua voce narrante – è di quegli scrittori che faticano a leggere romanzi, che non hanno alcun interesse per “la storia che racconta un romanzo”, che non vedono la storia “ma il modo in cui la storia si presenta”. Tipico modo di concepire la scrittura meno come intrattenimento, ludus, menzogna e più come esercizio filosofico del tutto peculiare, inteso com’è non quale elaborazione concettuale sulle cose generali o sui sistemi, ma dissezione di un gesto – lo scrivere stesso – o di un individuo irripetibili. Seppure non del tutto originale; perché, si è detto, uno scrittore che adombra il tentativo di tenersi a distanza da se stesso, da un sé poco avventuroso, biograficamente ininteressante per i più, non è una novità.

“Non c’è niente da scrivere sulla mia vita. Solitudine, reclusione obbligata, reclusione volontaria. Sporadiche ansie d’infinito”. Ma questo niente di cui dice di non poter dire alcunché, è in effetti il solo oggetto vero del quale è in grado dire qualcosa.

Non è da sottovalutare nemmeno la confessata “incapacità di descrivere dettagli e la tendenza a cadere nel trascendente”. Il trascendente non è un bel posto per cercare “ispirazione”. La scrittura – almeno quella narrativa – ha da fare con la materia: lo sapeva bene una che al trascendente credeva eccome, Flannery ‘O Connor. Dalle parti di Liscano, se la scrittura non serve a parlare di sé, non serve a nulla. Il problema è: come continuare se parlare di sé significa parlare di un vuoto, in questo caso di quella bolla dalla pellicola spessa che si è costruita al posto dell’’io’ in tredici anni di carcere?

Liscano aveva combattuto il regime del suo paese ed era finito in galera. Ma, ce lo insegnano Kafka o Beckett, uno scrittore non ha bisogno del carcere. È in grado di fabbricarselo da solo. Almeno, un certo tipo di scrittore, per il quale scrivere sembrerebbe il solo modo per tollerare il peso di un silenzio profondo – volendo nemmeno così inviso, questo il punto. La scrittura è un modo per rispettarne la terribile verità addomesticandolo, tenendone a bada la follia e insieme sobillandola. Ancora, più che un esercizio di ragionamento, questa sorta di diario assomiglia a un gesto apotropaico – ma assai controverso: guarisce dal nulla e nello stesso tempo nel nulla si tortura. Vi è una mossa originaria, un errore fondativo: quello di concepirsi scrittori. Di inventare un sé scrittore, al quale ciò che di primitivo rimane (il residuo biologico, affettivo, sociale: cosa?), faticosamente cerca di adeguarsi.

Un’auto-tortura, in pratica. Della quale poi si finisce per non saper fare a meno. In tale circolo vizioso, scrivere tiene a bada il dolore e se ne procura di ulteriore. Forse, se non si ha niente da dire, l’unico modo per guarire davvero è lasciare sulla scrivania penne, blocknotes o computer e uscire di casa. E provare a vivere.

Autore: Carlos Liscano

Titolo: “Lo scrittore e l’altro”,

Casa editrice: Lavieri

Anno: 2011

Pagine: 168

Costo: Euro 15,00

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Intervista a Marcello Baraghini

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Come è nata l’esigenza di fondare la casa editrice?

La casa editrice viene registrata al Tribunale di Roma ufficialmente nel 1970, anche se le prime fanzine cominciano a circolare ufficiosamente già nel 1968; dunque la casa editrice nasce in pieno clima Sessantottino, sull’onda della protesta giovanile che negli Stati Uniti era già attiva da qualche anno e proprio sul modello delle “Alternative Press” statunitensi nasce Stampa Alternativa, per dar voce a tutti quegli argomenti “scottanti” di contro-informazione.

Come si caratterizza il vostro progetto editoriale?

L’intento era quello di fare contro-informazione sugli argomenti più disparati: dall’aborto all’obiezione di coscienza, dai diritti dei minori fino alla legalizzazione delle droghe leggere.

Il direttore editoriale Marcello Baraghini ha collezionato 137 procedimenti penali, tutti per reati di opinione. Ora, molte di quelle battaglie sono diventate leggi ma la casa editrice continua a fare contro-informazione sia attraverso saggi d’inchiesta, romanzi sociali che riscoprendo classici della letteratura dimenticati o scomodi. Non a caso la nostra collana di punta si chiama “Eretica” e vuole scuotere gli animi a un pensiero libero e privo di pregiudizi.

C’è un libro e/o un autore al quale sei più affezionato? Perché?

L’isola della tartaruga di Gary Snyder, primo perché è un libro di splendide poesie e alcuni saggi a sfondo ecologico, secondo perché Snyder è stato un proto-ecologista della beat generation e terzo, ma non ultimo, perché lo abbiamo ospitato per un nostro indimenticabile Festival della Letteratura Resistente, qui in Italia, prima a Roma e poi a Pitigliano ed è una persona davvero speciale, come solo i poeti sanno essere e ogni volta che parlava in pubblico o in privato, fosse per una conferenza stampa o per un reading delle sue poesie, tutti rimanevano in un mistico silenzio.

Come vi rapportate con gli autori esordienti? Come giudichi la qualità del materiale che vi inviano?

Spesso gli esordienti sono autori ostici poiché non hanno molta umiltà e tendono a pensare di essere tutti Joyce in erba. Comunque, sia  per la saggistica che per la narrativa, vale sempre il criterio che deve esserci uno sfondo sociale o di denuncia. Se il contenuto è convincente si può anche lavorare su una forma che lascia a desiderare, consegnando il materiale nelle mani di un buon editor.

Cosa ne pensi del fenomeno dell’editoria a pagamento e qual è la vostra politica in merito?

Stampa Alternativa è stata la prima casa editrice in Italia che sollevò la questione circa dieci anni fa con un libro di Miriam Bendia che si intitolava Editori a perdere, si sollevò un gran dibattito attorno al libro. Molti critici si affrettarono a suddividere i cattivi e i buoni editori a pagamento, a seconda dei casi. Certo, c’è differenza tra l’editore a pagamento che ti truffa completamente con false promesse di distribuzione e promozione e quello che chiaramente si presta a stampare un lavoro per un dottorato di  ricerca e non ti prende in giro. Ma in generale non ci sembra un lavoro da editori ma piuttosto da tipografi.

Quali sono quali sono le difficoltà, le soddisfazioni e le aspettative del vostro lavoro editoriale?

Le difficoltà sono di visibilità nelle grosse catene librarie, in particolare nelle Feltrinelli che da quando hanno acquisito la distribuzione Pde, stanno applicando una logica sempre più di marketing e sempre meno di qualità del prodotto. Questo meccanismo innesca per gli editori indipendenti non di rado anche problematiche di natura economica.

Le soddisfazioni sono quando si prende in mano un libro bello, sul quale si è lavorato molto, ci si è creduto e ci si sente un po’ come un genitore che ha partorito la sua creatura.

Aspettative: di continuare a fare un lavoro creativo con amore e professionalità.

In questo mercato dominato da pochi e grandi gruppi editoriali come pensi sia possibile combattere l’omologazione nella lettura?

Col passaparola, con internet e con quei pochi critici che ancora leggono i libri e sanno difendere i propri spazi sulle testate giornalistiche per le quali scrivono.

Cosa ne pensi della legge Levi?

Se viene rispettato davvero il tetto di sconto del 15%, per gli editori indipendenti è un vantaggio in più rispetto allo sconto selvaggio che i grossi gruppi editoriali finora hanno invece potuto praticare a loro totale piacimento. Un po’ meno comprensibile la parte di legge che vorrebbe equiparare tutte le testate anche web, soffocandole di oneri di ogni sorta, come se il settore non fosse già in affanno così.

Due domande più personali:

Qual è il tuo libro preferito?

Ho amato molti libri, ma il mio faro è La vita agra di Luciano Bianciardi.

Come si svolge la tua giornata di editore?

Leggo molto; libri, bozze e giornali. Comunico con i miei più stretti collaboratori e per rilassarmi faccio lavori di campagna.

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“L’amore tra le righe”

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Kate, Jo e Sarah, tre donne completamente differenti l’una dall’altra, ma in comune hanno un’amica davvero speciale, che trasformerà le loro vite. “Amore tra le righe” di Lisa Verge Higgins (Piemme 2012)

Cosa rende un uomo qualunque l’amore della tua vita? La domanda che attraversa la vita di Sarah come un boomerang. Lei, amante sprezzante del pericoli è in grado di sentirsi bene solo attraverso le impervie della giungla africana, guadando fiumi o salvando altre vite. Ma l’uomo dei suoi sogni, l’amore della sua vita è lontano migliaia di chilometri, lontano da anni, ma non lontano dai suoi pensieri nei quali è sempre presente. Riuscirà Sarah a riconquistare il suo grande amore?

Che cosa rende una moglie anche un amante indimenticabile? E’ la domanda che spetta a Kate, la cui vita matrimoniale ormai è totalmente resa piatta dalla routine e dall’arrivo di un figlio, che sembra aver assorbito qualsiasi tipo di energia alla coppia. Un marito, quello di Kate, che però sembra non essersi accorto delle differenze. Ma allora esisterà un modo per riaccendere quella focosa passione che prima dell’avvento del figlio, infuocava le loro notti?

E che cosa rende una qualunque donna una buona madre? Una domanda difficile, specialmente se la donna in questione è Jo. Una donna che fino ad ora ha posto se stesse al centro di tutto, una persona totalmente incapace di concepire il significato della parola “maternità”. Costretta ad accettare nella sua vita una bambina orfana, Jo si confronterà con le sue paure e si scontrerà contro quelle barriere che lei stessa ha innalzato intorno al suo cuore, per allontanare chiunque tentasse di avvicinarsi, giungendo forse alla risposta per la sua domanda.

Tre donne opposte, unite dall’amore per l’amica Rachel, l’unica persona che le ha sapute capire fino in fondo e l’unica in grado in di metterle d’innanzi alle loro domande, portandole mano nella mano alla risposta che cambierà definitivamente le loro vite.

Lisa Verge Higgis, laureata in chimica, ha deciso di dedicarsi unicamente alla sua grande passione: la scrittura. Ha pubblicato diversi romanzi storici, utilizzando uno pseudonimo.

Titolo: L’amore tra le righe

Autore: Lisa Verge Higgins

Editore: Piemme

Anno: 2012

Pagine: 360

Prezzo: 17.50 euro

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