L’Aut aut di Santoni e quel sapore di lotta di classe

santoni-grandeLe parole sono importanti“, gridava in maniera scomposta Nanni Moretti nel suo Palombella Rossa, “perché chi parla male, pensa male e agisce male“. Sembra che questo predicato Gabriele Santoni nel suo “Aut Aut” (Giulio Perrone Editore) lo abbia applicato perché è un libro dove le parole assumono una loro centralità e una ponderatezza che rende scorrevole ed avvincente il tessuto narrativo. 
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Nel Regno di Op

op-lamerdianaCi sono regni immaginari e regni reali, ci sono fiabe e bambini che aspettano di ascoltarle, poi ci sono i mostri, i giganti, le cose che fanno paura. Poi ci sono le mani, gli sguardi, la lotta. C’è il silenzio dopo la paura, la vita prima della morte, la saggezza e quell’ultimo briciolo di forza che pensi di non avere.

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“Fai bei sogni”

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“Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo” scriveva qualche anno fa Italo Calvino e oggi Massimo Gramellini con “Fai bei sogni” (Longanesi), racconta una ferita, fatta di solitudine e amarezza, di lotta contro un mostro e una paura di vivere, una ferita  provocata dalla morte della madre la mattina dell’ultimo dell’anno del 1966.

In quella mattina che rimane fissa ed eterna nella memoria di un bambino come tanti che perde non solo la madre ma anche l’innocenza, facendosi domande che un bambino non dovrebbe mai porsi. Frutto di quelle domande è Belfagor, il mostro che cova dentro il suo animo, un rancore istintivo nei confronti della vita che lo fa affondare ogni qual volta cerca di respirare. Un percorso lungo che passa per una narrazione semplice e scorrevole, mai pietistica che ci restituisce un libro importante, non tanto per la sua natura biografica, ma quanto per la riflessione intima e struggente sul dolore, dolore che spesso tendiamo a dimenticare, dolore che il piccolo Massimo vive inseguendo figure materne spesso inadatte o trincerandosi dietro grandi silenzi, dolore che diventa cemento per le solide fondamenta del Massimo Gramellini che conosciamo oggi che ha sempre trattato la vita con intensa leggerezza.

I tratti narrativi dell’autore si confermano coinvolgenti e sinceri, non c’è la voglia di trattare la vicenda personale come un noir, strada intrapresa purtroppo da molti, ma c’è la volontà di mettere un punto e di condividere un pezzo importante della propria vita trasformandola in narrazione collettiva, perché “Fai bei sogni” è  un libro che racconta l’Italia che eravamo e quella che siamo diventati, un libro che ci spiega la sottile differenza tra il male di viver e la paura di vivere, che congela amore e sentimenti, paure e sogni, perché la paura di non essere amati taglia le gambe al futuro.

Le passioni di Gramellini,  come il Torino, i Police, la lettura e quella casa davanti allo Stadio sono l’anagramma emozionale del nostro pensiero e ci riconsegnano la dignità del dolore e di un percorso di vita fatto di ricerca per comprendere la radice e la causa per cui quella morte brucia come una ferita ancora aperta, una ferita che solo altro amore ha saputo sanare.

Si arriva a provare una buffa nostalgia alla fine del libro, un positivo afflato del cuore che ci rimane attaccato alle mani, agli occhi e ci fa capire meglio chi siamo e quanto dolore spesso mettiamo da parte, sacrificato all’altare delle virtù e del pubblico rispetto.

La verità per Massimo Gramellini la troverà in una busta gialla, in un ritaglio del quotidiano dove oggi è vicedirettore, la verità per quel bambino è la spada che riesce ad uccidere Belfagor.

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“Racconti fatali”

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La casa editrice “Nova Delphi” fa scoprire al pubblico italiano i “Racconti fatali” di Leopoldo Lugones, poeta, giornalista, narratore argentino, che ha saputo dare spirito, corpo e sostanza al racconto fantastico sudamericano, considerato da Borges e Cortàzar un vero e proprio maestro. La vita di Lugones fu segnata da numerose svolte e frequenti cambiamenti, sopratutto politici,passò dal socialismo al liberalismo e poi al conservatorismo e infine al fascismo e alla speranza che una svolta autoritaria dell’Argentina potesse portare il Paese fuori da un dibattito che si era aggrovigliato su se stesso. Lugones non chiese mai alla politica, tanto rifiutare, durante il governo militare e conservatore, il direttorio della Biblioteca Centrale Argentina.

Ne i “Racconti fatali” Lugones sembra erigere le fondamenta per la nuova letteratura sudamericana, pulita dagli orpelli del localismo e della costante introspezione e varca le porte Scee del fantastico creando col lettore una sorta di patto  dove il narratore onnisciente dei primi tre racconti (Il vaso di alabastro, Gli occhi della Regina e Il pugnale), conduce per  mano il lettore fino a confonderlo su cosa sia reale e cosa sia fantastico, mescolando come ne “Il vaso di alabastro” e “Gli occhi della Regina” alle importanti scoperte in ambito archeologico che tra l’800 e i primi decenni del ‘900 fecero sognare molti studiosi sulla natura della civiltà egizia e della natura della specie umana stessa. La prosa di Lugones è quindi fantastico-antropologica dove l’uomo/narratore sembra chiedersi il significato delle proprie origini e del proprio futuro, rifugiandosi nell’archetipo della magia e del fantastico. E’ prosa irrazionale e delle origini che però si lega ad un fantastico “reale”, quando ne “Il segreto di Don Giovanni” e in “Agueda” il contesto diventa la quotidianità argentina.

Leopoldo Lugones segna con i “Racconti fatali” proprio una passerella tematica ed ideale tra originario e quotidiano, creando una realtà mitica e forte, che arriva con intatta attualità fino ai giorni nostri, perché il “destino fatale” che lega tutti i racconti, una forza oscura dove, né l’archeologo che muore inebriato dai profumi del Faraone non può che accettare la fatalità della sua scoperta e la fatalità del suo destino, né il Don Giovanni reincarnato che spazia tra luoghi ed epoche, possono opporsi a questo.

La scrittura di Leopoldo Lugones, sapientemente tradotta, è figlia di questo flusso narrativo, scorrevole ed incessante, un ritmo forte che taglia il fiato e ci conduce ad un punto visivo di non ritorno. Lugones si estranea ed estranea la sua scrittura, creando quel mondo originario nella sua Argentina, dove niente è più forte della storia e del destino, lo stesso destino che lo porterà a togliersi la vita in un hotel per cause mai chiarite, ma forse questa opera, può chiarirle, perché Lugones si sentiva parte di quella fatalità, sentendosi figlio della terra e delle idee, opponendosi alla realtà e divenendo parte di quel significato sincretico ed esoterico della terra argentina che ha cercato per una vita intera, ponendo con quel suicido, l’immortalità della sua figura e della sua anima innovatrice che è fondamento della nuova cultura sudamericana. Una raccolta da leggere per capire un mondo nuovo.

Leopoldo Lugones, poeta, narratore, giornalista e storiografo argentino, nasce a Córdoba nel 1874. Fa il suo esordio letterario con l’importante raccolta lirica Las montañas del oro (1897), ispirata da sentimenti umanitari e socialisti, cui seguono Los crepúsculos del jardín (1905) e Lunario sentimental (1909). Nel 1916 riunisce, sotto il titolo di El payador, una serie di conferenze dove, per primo, riconoscerà l’influenza del poema epico Martín Fierro sulla formazione dell’identità culturale del popolo argentino. I suoi racconti riuniti nelle raccolte Las fuerzas extrañas (1906) e Cuentos fatales (1924) sono oggi considerati dalla critica internazionale precursori della narrativa breve in America latina tanto che scrittori come J.L. Borges e J. Cortázar non esiteranno a definirlo loro indiscusso “maestro”. Il 18 febbraio del 1938 Lugones si toglie la vita in un hotel non distante dalla sua amata Buenos Aires per ragioni ancora misteriose.

Autore: Leopoldo Lugones

Titolo: Racconti fatali

Editore: Nova Delphi

Anno: 2012

Pagine: 176

Prezzo: 9 Euro

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“Gli occhi di Lucio”. La poesia di Lucio Dalla

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I grandi se ne vanno così, un giorno come tanti altri, mentre ti stai svegliando, magari mentre saluti la donna che ami con un sorriso, se ne vanno come sono venuti al mondo, in silenzio, portando al cuore l’ultimo applauso del pubblico per stringerlo a sé, per renderlo eterno.
E così, all’improvviso, ci ha lasciato Lucio Dalla, uno dei cantautori più emozionali del nostro tempo, che è riuscito a penetrare nel codice genetico della musica italiana cambiandola per sempre. Continue reading

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