L'uroboro di corallo

L’uroboro di corallo

L'uroboro di coralloL’uroboro di corallo (Salani 2017) di Rosalba Pirrotta racconta la storia di un riscatto al femminile nella Sicilia dei giorni nostri.


“Vivevo a Catania, in un palazzetto ai margini di un quartiere malfamato. Ma ero malfamata anch’io: straniera e concubina (e poi vedova) di un anziano possidente”.
Una lettera scritta in Lituania, a Vilnius, che non sarebbe mai giunta alle eredi, perché rimasta dentro una vecchia agenda e mandata al macero.

Parte da qui il nuovo romanzo della brava autrice siciliana capace nei suoi scritti di coniugare ironia, sagacia, amore per le dotte citazioni e passione per la cucina. Anastasia Buonincontro si trovava in un momento difficile della propria esistenza. La donna, 71 anni, che portava il nome della santa di Sirmio, venerata in Occidente e in Oriente, due figlie, la perfezionista Doriana e l’insicura Nuvola, e un nipotino, Antonio, era stata lasciata dal marito. Il fedifrago, di professione archeologo aveva preferito ad Anastasia, una ricercatrice anzi una “mammadrava” con la chioma fiammeggiante. Ora Anastasia si considerava come una madre e una nonna incapace, come una pensionata inutile.

“Sarebbe stato meglio agire di testa propria. Fare quello che più le piaceva”. Invece Anastasia era passata dalla casa paterna a quella del marito e aveva scelto di lavorare nella biblioteca scolastica, perché si conciliava con i suoi doveri di moglie e madre. In quei giorni che precedevano il Natale, era arrivata una lettera dal notaio. L’anziana seconda moglie del nonno paterno di Anastasia, usufruttuaria del palazzetto di fine Settecento ubicato nel quartiere più malfamato di Catania era deceduta a Vilnius. Anastasia e le sue tre cugine gemelle, in quanto eredi, potevano prendere possesso dell’immobile. Durante il primo sopralluogo all’interno della fatiscente dimora, le cugine avevano consegnato ad Anastasia una parte dei gioielli contenuti in una vecchia scatola. Uno di questi gioielli era una spilla di corallo che raffigurava un uroboro, serpente che si mangia la coda, simbolo di rinascita. L’oggetto sarebbe diventato per Anastasia il simbolo del suo riscatto, anzi un vero e proprio talismano.

Se nel precedente romanzo della Perrotta, All’ombra dei fiori di jacaranda, zia e nipote, due donne volitive, coraggiose e ricche di sfaccettature, sfidano la bolla di conformismo che le circonda e vincono, in queste pagine una donna non più giovane decide di cambiare il corso della propria esistenza. Anastasia comprende che la vita ha ancora molto da offrirle e che d’ora in poi “il Natale non le metterà più tristezza”. Ed ecco che riaffiora nitido un ricordo sepolto da oltre mezzo secolo, un Natale di tantissimi anni fa quando una piccola Anastasia aveva conosciuto un bambino “di cui conosceva soltanto il nome, che lei aveva guardato senza avere il coraggio di parlargli per tutto il mese di prove del presepe, l’ha baciata. E l’ha chiesta in sposa. Come i principi delle favole”.
Forse non è mai troppo tardi “per imparare a vivere”.

Rosalba Pirrotta ha insegnato Sociologia alla Facoltà di Scienze Politiche di Catania. Ha già pubblicato altri tre romanzi, tra cui All’ombra dei fiori di Jacaranda (Salani 2013) e una raccolta di racconti. Vive a San Gregorio, un piccolo centro ai piedi dell’Etna.

Autore: Rosalba Pirrotta
Titolo: L’uroboro di corallo
Editore: Salani
Anno di pubblicazione: 2017
Prezzo: 13,90 euro
Pagine: 300

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