L’ultimo romanzo di Albahari in una Belgrado alla Hitchcock

sanguisughe-albahariÈ una domenica di marzo e in una Belgrado fresca di primavera un giornalista esce a fare una passeggiata. Questo l’incipit di “Sanguisughe” (Zandonai editore, 2012) di David Albahari.

Cammina lungo il Danubio tenendo in mano una mela, la mangia lentamente, assaporandone il gusto, e in quel momento di perfetta normalità assiste all’evento che gli cambierà la vita.

Giù, lungo il bordo del fiume, una coppia di giovani discute con un’intensità che li separa dal mondo e, mentre il protagonista affonda i denti nel picciolo, di punto in bianco il ragazzo tira uno schiaffo alla ragazza.

Sulla riva, a scrutare i due, c’è anche un misterioso uomo con un impermeabile nero. Il giornalista assiste impassibile alla scena e, seguendo l’onda di un turbamento che non sa spiegarsi, si lancia tra il dedalo dei palazzi belgradesi alla ricerca della ragazza, forse vuole consolarla o forse vuole solo dare un senso al disagio che lo ha improvvisamente avvolto. Se la ragazza sembra essere svanita nel nulla il giornalista ottiene però il primo di una lunga serie di enigmi: un bottone, o meglio un bottone con sopra disegnato un misterioso simbolo matematico. Da questo momento in poi la ricerca della verità diventerà un’ossessione, e l’indagine condurrà il giornalista a confrontarsi con la decodificazione di formule matematiche, criptici annunci sui giornali, un misterioso manoscritto e con la tradizione misticismo ebraico. Intanto, appena dietro l’angolo, si annida la minaccia dei rigurgiti del nazismo.

Con quest’opera David Albahari ritorna prepotentemente alle sue radici ebraiche e confeziona un romanzo atipico dalle intense implicazioni politiche ed identitarie. La narrazione si realizza in una scrittura continua che assume la forma di un monologo che è un flusso ininterrotto di coscienza. E attraverso la coscienza dell’anonimo protagonista, un improvvisato investigatore, ci muoviamo tra i misteri di una Belgrado così cupa e precaria da creare l’atmosfera perfetta per un thriller dei più classici. In questo sfondo i toni del giallo e del misticismo religioso entrano violentemente nella più banale normalità e si fondono in un’insolita miscela ben dosata che da’ come risultato un libro dal tono serrato e raffinato. Albahari realizza un così thriller di grande suspance che non può fare a meno di farci tornare alla mente un maestro del brivido come Hitchock.

«Tuttavia, il giorno dopo anche lui scuoteva la testa, rispondendo di non avere idea di come fosse potuta accadere una cosa simile. Si riferiva alla scritta sulla mia porta, tracciata con un pennarello nero, con caratteri di diversa grandezza: “Chi ha a che fare con gli ebrei sarà inghiottito dal buio”».

«Non sapevo dove mi avrebbe portato tutto ciò, ed era con ogni probabilità la sensazione più adatta a una mattina domenicale senza alcuna direzione né meta, mattina che ormai era diventata giorno fatto, o meglio, pomeriggio, data la velocità con cui il tempo passava […]».

David Albahari (1948), scrittore di origini ebraiche, vive da molti anni in Canada ed è tra gli interpreti più originali e controversi della letteratura serba contemporanea. Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo. È solito affermare infatti, ispirandosi all’I Ching: «Se capisci quello che succede all’interno della tua famiglia, capirai quello che succede nel mondo. Le cose si ripetono, a cambiare è solo la dimensione degli avvenimenti». Tra i suoi romanzi in italiano ricordiamo, tra gli altri, Il buio (Besa, 2003), Goetz e Meyer (Einaudi, 2006), L’esca (Zandonai, 2008), Ludwig (Zandonai, 2009) e Zink (Zandonai, 2009).

Autore: David Albahari

Titolo: Sanguisughe

Editore: Zandonai

Prezzo: 17 euro

Pagine: 370