Scene da un matrimonio

un-matrimonio-in-provincia“È difficile immaginare una gioventù più monotona, più squallida, più destituita d’ogni gioia della mia”. È la voce di Gaudenzia, io narrante di “Un matrimonio in provincia di Marchesa Colombi, alias Maria Antonietta Torriani (Barbés 2012), che presenta la spietata descrizione di un’esistenza non vissuta redatta da una donna anticonformista e anticipatrice.

Il libro era stato dimenticato, così come la sua autrice, quando nel 1973 Italo Calvino scelse di rieditarlo per la collana Centopagine di Einaudi, convinto dalla modernità del testo.

Ora la casa editrice Barbés pubblica nuovamente un attualissimo romanzo venato da umorismo e spietato realismo, amato da Natalia Ginzburg che lo definì “Un testo buffo, divertente e strano. E soprattutto un libro ruvido, per il modo senza miele di trattare le persone, gli oggetti e gli avvenimenti”. Infatti, Un matrimonio in provincia è un bell’esempio di romanzo popolare allora in voga, dove è rievocata l’atmosfera della Novara di fine Ottocento con il mitico caffè Berlocchi, la passeggiata in Piazza delle Erbe e la cupola della Basilica di San Gaudenzio, simbolo della città. “Non conobbi mia madre, che morì nel primo anno della mia vita”. La famiglia di Gaudenzia chiamata con “il diminutivo ridicolo” di Denza era composta “del babbo, notaio Pietro Dellara; d’una vecchia zia di lui”, zitella e “secca come un’aringa” che dormiva dietro un paravento in cucina e lì dietro trascorreva la sua misera esistenza, e “da mia sorella maggiore Caterina, che si chiamava Titina”. L’infanzia di Denza era trascorsa tranquilla tra poche conoscenze e lo studio in casa, perché secondo il padre erano “micidiali” tutte quelle ore fermi in classe. L’educazione letteraria delle sorelle Dellara era avvenuta, perciò, durante le lunghe passeggiate condivise col notaio Pietro dove il genitore, animandosi e gesticolando, raccontava alle figlie le gesta eroiche contenute nell’Iliade, nell’Eneide e nella Gerusalemme liberata. La passione di Pietro Dellara era il moto, cioè “mettere un piede avanti l’altro. Per molte ore di seguito” solo per dire al ritorno “Si son fatti tanti chilometri”. Quando Denza compì quattordici anni, “accadde il primo grande avvenimento della nostra famiglia”: il padre aveva deciso di risposarsi. Nel frattempo Denza era diventata una giovane donna di ventisei anni quasi una zitella, era tempo di maritarsi bene come doveva fare ogni signorina di buona famiglia. “Ci sarebbe un partito per te, però non è brillante”. Il pretendente era un ricco notaio di Vercelli di quarant’anni che si stabiliva a Novara. In tutta questa perfezione unico piccolo difetto: il Signor Scalchi aveva una verruca “un porro, un po’ grosso, qui sulla tempia destra”.

Un matrimonio in provincia, edito per la prima volta nel 1885 dalla Libreria Editrice Galli di Milano, rappresenta il capolavoro letterario di una scrittrice emancipata, sensibile ai problemi del lavoro e dell’emancipazione femminile. L’infanzia e l’adolescenza di Denza assomigliano a quella dell’autrice, ma a differenza della sua eroina la Torriani riuscì a realizzare le proprie legittime aspirazioni diventando dapprima insegnante e poi giornalista venendo a contatto con la sociologa e protofemminista lombarda Anna Maria Mozzoni. La Milano di allora era ancora legata al ricordo della principessa patriota Cristina Trivulzio di Belgioioso, la quale negli anni quaranta dell’Ottocento nella veste di riformatrice sociale si era dedicata ad alcuni esperimenti sociali in Brianza aprendo asili e scuole riservate alla popolazione rurale. A Milano la Torriani con un impertinente sigarin tra le labbra frequentava ambienti progressisti e circoli intellettuali, perché la sua verve e il suo spirito di osservazione non passavano inosservati. Il ritratto di Giovanni Segantini La signora Torelli (o il parasole bianco. Al sole) la ritrae nel 1888 quando la scrittrice aveva già assunto lo pseudonimo di Marchesa Palombi e sposato Eugenio Torelli Viollier. Maria Antonietta passeggia ombrellino nella mano sinistra sull’alzaia del Naviglio a Milano vicino allo studio del pittore. Lo sguardo arguto che emerge dal dipinto è lo stesso che l’autrice ha usato per illuminare l’esistenza priva di luce di Denza, specchio dell’identica condizione delle altre giovani donne destinate ad accettare matrimoni combinati privi di amore. L’educazione sentimentale della romantica, ingenua e fantasiosa Denza è compiuta, moglie realizzata, almeno in apparenza, madre felice di tre figli. L’unico cruccio viene affidato dalla geniale penna della Marchesa Colombi alla frase finale, lapidaria e rivelatrice. “Il fatto è che ingrasso”.

Marchesa Colombi pseudonimo di Maria Antonietta Torriani scelto da una macchietta della commedia La satira e il Parini di Paolo Ferrari, nacque a Novara nel 1840 e con la morte precoce del padre venne mandata in collegio, tornando in famiglia quando la madre si risposò. Alla morte del patrigno (1865) poté disporre di un lascito, così, dopo aver conseguito il diploma magistrale nel 1866 e insegnato nelle scuole elementari della Bassa novarese, riuscì a trasferirsi a Milano, dove collaborò a periodici e riviste, svolgendo attività politica con la femminista e socialista Anna Maria Mozzoni. Si impegnò per una nuova educazione femminile insegnando letteratura in un liceo, e accompagnando la stessa Mozzoni in un giro di conferenze in varie città (1871). Dopo alcuni intrecci d’amore, anche con Carducci, sposò nel 1875 Eugenio Torelli Viollier e nel 1876 fondò con lui Il Corriere della sera collaborandovi assiduamente. Dall’attività giornalistica, alle traduzioni, ai libretti per melodrammi, all’impiego narrativo, l’attività fu ampia e articolata. Dopo il suicidio della nipote Eva, che considerava una figlia, e la separazione dal marito si trasferì verso il 1900 a Torino (Cumiana) e, ritiratasi dalla scena mondana per godere la quiete, la compagnia di amici e qualche viaggio, morì nel 1920.

Autore: Marchesa Colombi
Titolo: Un matrimonio in provincia
Editore: Barbés
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo: 8 euro
Pagine: 140