La bellezza e l’inferno: Saviano, carne, sudore e verità

la_bellezza_e_linfernoUn libro che appare in un periodo particolarmente buio per il nostro Paese, in cui la verità è… tutto e il contrario di tutto! Molti ignorano chi tenta di riscrivere la storia d’Italia, negano o sminuiscono il dilagare trionfante delle organizzazioni criminali che ci avvelenano, privano il nostro popolo del loro grido d’allarme. A depurare questa atmosfera ammorbata, a squarciarne le tenebre, è apparso “La bellezza e l’inferno” (Mondadori, 2009) di Roberto Saviano, degno seguito di Gomorra.

Sono brani scritti in esilio: la camorra lo ha condannato perché gli “onesti” scribacchini hanno taciuto. Ma è accaduto l’incredibile: milioni di italiani (e milioni di persone in tutto il mondo) hanno colto la voce di questa “sentinella della libertà umana“. Molte coscienze si sono svegliate. Tutti i brani che compongono il libro hanno in comune la rabbia contro chi vuol calpestare e distruggere la vita. Scrivere – grida Saviano – è fare resistenza. Nonostante la vita da fuggitivo a cui il mondo del crimine lo ha costretto,  sa di avere ben operato, dimostrando che “la parola letteraria può ancora avere un peso e il potere di cambiare la realtà“.

Ogni brano di questo libro ti resta scolpito dentro: in ogni riga scorre qualche goccia del suo sudore e del suo sangue, impastate con la sua intelligenza di voler “capire i meccanismi, i congegni del potere, del nostro tempo, i bulloni della metafisica dei costumi“. Quando Saviano racconta di Anna Politkovskaja e di Giancarlo Siani, queste figure ti restano appiccicate sulla pelle, nell’anima, con la loro capacità di non indietreggiare mai, di lottare per un mondo più giusto. Impressa nella mente, ti resta la ricerca dei meccanismi del potere imprenditoriale, culturale, istituzionale, militare, criminale… che hanno portato alla guerra del Vietnam, ai massacri della Cecenia, agli orrori dei campi di lavoro sovietici o di concentramento nazisti!

Sono 250 pagine dense di sangue, una torbida scia che si snoda nel nostro Sud benedetto dal dio della camorra, che ammazza “chiunque capiti sotto tiro, senza riguardi per nessuno… in questa terra in cui per morire non dev’esserci una ragione”. Dove prendere la forza di denunciare tutto questo? “Soltanto dirlo, chiederlo, pretenderlo, comporta rischio, fuga, pericolo di morte.” E poi gli occhi penetranti si addentrano tra le macerie del terremoto dell’Abruzzo, tra i rischi della ricostruzione: appalti, subappalti, ancora subappalti… una spirale maledetta che, se non la si ferma, porterà alla ricostruzione con sabbia marina, che a sua volta porterà altri morti nel prossimo terremoto… tranne nel carcere dell’Aquila, l’unico edificio che non ha subito nemmeno una crepa, costruito a regola d’arte e che “ospita” quasi tutti boss che investono nel settore del cemento.

Intelligenza, caparbia ricerca della verità… quella verità che è quasi un’ossessione di cui sono impregnate queste pagine. Pagine forti dedicate allo spettacolo che il nostro Paese ha offerto al mondo speculando sulla tragedia di Eluana Englaro, all’incapacità di avere ben chiaro che “quando il dolore di uno è il dolore di tutti”… allora “il diritto di uno diviene il diritto di tutti”. Altro che post-realtà! La penna di Saviano è al servizio della verità e della libertà. Le sue parole “scuotono e uniscono”, vincono su tutto, restano vive.

Roberto Saviano è nato a Napoli nel 1979. Nel 2006 ha pubblicato Gomorra, in cui racconta i meccanismi delle attività illecite gestite dalla criminalità organizzata. Gomorra ha ottenuto un successo planetario. Dal libro sono stati tratti uno spettacolo teatrale e un film, per la regia di Matteo Garrone. In seguito alle minacce di morte ricevute per le sue denunce, Roberto Saviano è diventato il simbolo della lotta alla criminalità organizzata, ed è costretto a vivere sotto scorta dal 2006. “La bellezza e l’inferno” è il suo secondo libro.

Autore: Roberto Saviano
Titolo: La bellezza e l’inferno
Editore: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 17,50 euro
Pagine: 252

* Diritti dell’articolo di Adriano Petta