“Quello che brucia non ritorna”. Intervista a Matteo Di Giulio

quel_che_brucia_non_ritornaQuello che  brucia non ritorna – romanzo Hardcore” (AgenziaX, 2010) di Matteo Di Giulio, ha come  protagonista Smalley, che vive ad Amsterdam, dove è arrivato per caso in fuga da un’Italia che detesta.

Dopo anni qualcosa lo riporta a Milano, insieme al suo amico Jan anche lui alla ricerca di se stesso. Ripercorrerà la città che ha lasciato, ritrovando angoli che aveva dimenticato, momenti passati in quelle strade con i suoi amici, con il suo gruppo, i Krakatoa, da cui tutto è cominciato.

Per Smalley è l’ultima occasione per stanare i nemici di una volta e scoprire se la fiamma di una vecchia amicizia brucia ancora.

La rabbia, il disagio sociale sono presenti costantemente nel romanzo, il protagonista ricorda eventi accaduti negli anni ottanta a Milano, i centri sociali e i movimenti giovanili. Cos’è cambiato in questi anni? E quanto è diversa oggi la nuova generazione da quella di allora?
“È incredibile pensare come una decina d’anni, un periodo di tempo tutto sommato breve, abbia mutato così tanto la società moderna. Da metà anni Novanta agli anni Duemila sembra si sia formato un solco, un divario netto. È cambiata la politica, è cambiata la società, sono cambiate le persone, non soltanto le nuove generazioni, anche quelle precedenti si stanno accontentando e omolgando sempre di più.

“Milano è lo specchio di un’Italia che fa fatica a ritrovarsi. Fatica a creare valori, a eleggere ideali, in un contesto così caotico è inevitabile che a farne le spese siano soprattutto coloro che stanno vivendo quella fase in cui gli ideali sono la benzina per le riflessioni quotidiane. Perdipiù viviamo lo spaesamento delle prime generazioni che soffrono un forte complesso di inferiorità con quelle che le hanno precedute: sono meno ricche, hanno meno possibilità, e solo ipoteticamente possono sfruttare mezzi di comunicazioni agevolati.

“In realtà mi sembra che il grosso problema d’oggi sia che a fronte di una facilità tecnologica la gente ha perso il desiderio – la necessità, addirittura – di comunicare, e di conseguenza non riesce ad abbattere gli schemi preimpostati dalle istituzioni. Ribellarsi è più faticoso, per fortuna c’è sempre chi ci prova, sono loro la speranza. Serve però un contorno culturale e sociale che funga per questi pochi da appoggio, che dia loro linfa e non li lasci a predicare, soli, nel deserto.”

Milano è descritta grigia, sporca quasi dimenticata. La Milano del libro a confronto con quella di oggi, le differenze e le sensazioni che lei ha sentito e visto in quest’ultimo decennio.
“Milano è grigia, sporca e dimenticata. Ma è anche ricca, di contraddizioni, di pluralità, di potenzialità. Una ciambella che ha perso sostanza nel centro cittadino, dove ormai impera la globalizzazione qualunquista, dove non è prevista la minima idea contrastante alle mode e allo status quo del mainstream, economico e politico che sia. In periferia, demonizzato, c’è invece più succo, più vitalità, resistono le ottiche di quartiere, le voci dissidenti. Spesso coincidono con i disagi dei migranti, dei precari, dei “diversi”, ma almeno c’è ancora un residuo di confronto ideologico.

“Milano è un gigante dai piedi d’argilla. Potrebbe crollare da un istante all’altro, o potrebbe rimanere immutata per i prossimi decenni. Io vedo uscire dal torpore un certo cittadino medio, che forse è finalmente stufo di sentirsi dire cosa deve fare della sua vita. Nei centri sociali, nei luoghi di aggregazione alternativi (i circoli Arci, per esempio) si vedono i trenta-quarantenni con i figli, le famiglie, questo era utopico tanti anni fa. Chi opera nell’antagonista sociale si sta muovendo bene per radicare un’idea di territorio e di appartenenza allo strato cittadino, e questo farà la differenza con il passare del tempo. Non sono più servizi di nicchia ma alternativi utili e concrete nella ricerca di un vivere che sia migliore per chi oggi ha meno possibilità e non è interessato al Suv o al week end in Liguria.

Quanto c’è di personale in questo romanzo? E il protagonista che fugge dalla sua città, che la odia e la ama allo stesso tempo da dove nasce, solo dalla sua fantasia o in parte è vita vissuta?
“C’è molto di personale nel romanzo. Il protagonista è un incrocio di persone reali, in parte rispecchia me, le mie idee, il mio vissuto, ma non volevo che fosse eccessivamente autobiografico per cui ho canalizzato in lui gli elementi a farne un modello, ben riconoscibile, dell’ambiente in cui si muove. L’escamotage della fuga all’estero, come tanti altri dettagli del percorso di ritorno di Smalley e del suo accompagnatore olandese, Jan, sono invece mera finzione: un trucco per esaltare il disagio di chi, tornando a una realtà che ha perso di vista, nota a maggior ragione quanto sia cambiata.

“Luoghi, persone citate nel testo, concerti, band: quello invece è tutto vero. Il mio obiettivo reale era documentare una scena, un movimento, le sensazioni di quel periodo. Riguarda Milano, ma non solo, perché l’hardcore/punk di metà anni Novanta era una realtà concreta in quasi tutta Italia; e anche in Europa direi.”

Ci spiega esattamente cos’è l’hardcore?
“Musicalmente parlando l’hardcore è un genere veloce, che deriva dal punk americano degli anni Ottanta (Descendents, Black Flag, Misfits) e lo estremizza. È musica ruvida, grezza, di grande impatto, dove i testi sono urlati con rabbia.

“Da un punto di vista sociale è ribellione pura, è gridare il proprio malessere, un malessere non per forza politico, spesso anche interiore, nei confronti di una società che relega chi la pensa diversamente in ghetti. Una società dove la paura è l’arma predominante delle alte sfere per dominare e impedire di pensare. Screaming for a Change cantavano gli Uniform Choice. Il cambiamento passa da ogni tipo di presa di coscienza: essere vegetariani, non bere, non drogarsi, porsi dei quesiti sono degli ottimi punti di partenza.”

Matteo Di Giulio vive a Milano, dove è nato nel 1976. Il suo primo noir, La Milano d’acqua e sabbia, è stato finalista al Premio Belgioioso. Suoi racconti sono stati pubblicati su diverse antologie e su «Velvet – la Repubblica». Quello che brucia non ritorna è il suo secondo romanzo.

Autore: Matteo Di Giulio
Titolo: Quello che brucia non ritorna
Editore: AgenziaX
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 15 euro
Pagine: 224