L’Italia degli anni del piombo. Intervista a Luigi Mascheroni

gliannidelpiomboLibro di memorie, di reportage giornalistici, di racconti della storia. Luigi Mascheroni in “Gli anni del piombo” (Mursia, 2009) dialoga con Mario Cervi, per delineare la fisionomia dell’Italia di oggi e interpretare la cronaca di ieri.

Un libro di storia, di memoria, di giornalismo. Cosa può trovare il lettore in “Gli anni del piombo”?
Può trovare prima di tutto una storia sui generis del nostro Paese nel corso degli ultimi sessant’anni. Attraverso il racconto della vita professionale di Mario Cervi, uno degli ultimi “grandi vecchi” della stampa italiana insieme Giorgio Bocca, Eugenio Scalari, Gianpaolo Pansa e pochi altri, il libro è un modo per tentare di capire prima di tutto com’era il giornalismo di “una volta”, con i suoi vizi, i  suoi eroismi, le grandi firme, qualche grande scrittore e molti tromboni. Racconta cioè come si “facevano” i giornali negli anni del piombo, ossia ancora in tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, quando Cervi lavorava al Corriere della sera, il giornale più prestigioso del nostro Paese, insieme a gente come Buzzati, Afeltra, Vergani.; e nello stesso tempo il libro è un modo per tentare di capire cosa significò fare giornalismo negli anni di piombo, cioè gli anni Settanta del terrorismo, quando Cervi seguì, e fu tra i primissimi, Indro Montanelli nell’avventura della fondazione del “Giornale”, nel 1974, per fare un’informazione controcorrente rispetto al cosiddetto pensiero dominate, conformista e di sinistra. Un’avventura esaltante ma anche difficile, che si chiuse nel 1993, con la rottura tra Montanelli e Berlusconi, editore del Giornale, cui seguì la breve stagione della Voce dopo il fallimento della quale Montanelli tornerà al Corriere, e Cervi rientrerà al Giornale, dove alla fine degli anni Novanta diventerà direttore e oggi rimane uno degli editorialisti più seguiti e autorevoli.

Un dialogo tra Luigi Mascheroni e Mario Cervi. Cosa ci può dire del suo incontro con un maestro di giornalismo di tale portata? Qual è stata l’aspetto che l’ha maggiormente colpita?
Mario Cervi rappresenta uno dei pochi grandi giornalisti italiani capace di “salire” con la forza del talento, le grandi capacità di scrittura e insieme una coerenza esemplare rispetto alle sue idee, tutti i gradini della carriera giornalistica: da giovane reporter entrato al Corriere della sera nel 1945, subito dopo la guerra (grazie a una raccomandazione, come spesso avviene in Italia, e come Cervi stesso confessa senza vergogna) e poi estensore come si diceva allora, quindi cronista giudiziario, inviato, editorialista fino a sedere sulla poltrona di direttore del Giornale; senza mai invidie e gelosie rispetto al “principe” del giornalismo italiano, Indro Montanelli, con il quale Cervi divise lavoro, amicizia e stanza per lunghi anni; e senza mai svendere le sue idee e le sue convinzioni al potente di turno. Anzi, le sue battaglie giornalistiche – una per tutte, quella a favore di Priebke – i suoi reportage in giro per il mondo – fu l’unico a raccontare come davvero morì Pinochet, e cosa fu il suo governo – le sue prese di posizione politiche – anche in conflitto con il suo vecchio amico Indro quando questi passò al fronte anti-berlusconiano – dimostrano il suo coraggio e la sua integrità. E’ un maestro per questo: non solo per come scrive, ma per quello che ha scritto.

Fare giornalismo oggi. Nel libro si parla di cronaca, storie, personaggi. Come è cambiato il mestiere del giornalista con Internet?

Mai come negli ultimi due-tre anni si è parlato, negli Stati Uniti come in Europa, e quindi anche da noi, del rapporto tra carta stampata e informazione online, così come si è discusso del futuro dei giornali e di come stia cambiando, e cambierà ancora di più, la professione del giornalista. Difficile dare giudizi e fare previsioni. Quello che credo è che di certo il giornalismo tradizionale, cioè il giornale di carta, non sparirà affatto. Certo sarà ridimensionato nel numero di copie vendute e anche di pagine stampate, ma sopravviverà. Diventerà un prodotto, come dire?, di elité. Ma forse ancora più utile e necessario. Così come quando arrivò il cinema, il teatro, che pure era popolarissimo e  frequentatissimo, non è scomparso ma è diventato un “privilegio” per pochi; e così come quando è arrivata la televisione, il cinema non è sparito ma ha visto cambiare il numero e il “tipo” di spettatori, allo stesso modo l’affermarsi dell’informazione online non ucciderà la carta stampata, ma la porterà a trasformarsi e ad adeguarsi alle nuove esigenze. La prima delle quali, naturalmente, è che la notizia – cioè il cosa è successo – non è più la priorità del quotidiano, perché quando il giornale arriva in edicola, la radio, la televisione e internet hanno già dato da parecchie ore la notizia. Il giornale semmai deve approfondire il come e il perché è successo.  Il web e i siti di informazione  online vincono la gara di velocità a dare la notizia; ma il quotidiano deve essere capace di vincere la gara dell’approfondimento, del commento, dell’analisi, del racconto. Come sempre, il prodotto che saprà dare i contenuti migliori per qualità – le interviste più belle, le opinioni e le idee più originali, i commenti più autorevoli, i reportage, le inchieste più scomode – sarà quello che rimarrà sul mercato. Tutti gli altri chiuderanno. Ecco perché una volta il giornalista più bravo era il più veloce, mentre oggi è quello più preparato.

Qual è, a suo parere, la maggiore insidia per il lettore nei giornali di oggi?
La mancanza di approfondimento: è la notizia usa-e-getta, l’indiscrezione non verificata, lo spazio dedicato a personaggi improbabili che rimarranno sulla breccia dell’onda lo spazio di un mattino, l’intervista-marchetta al cantante che promuove il suo nuovo disco, lo spazio dato al politico solo per fare campagna elettorale, le storie strappalacrime o strappasorriso delle quali è vero il 10 per cento, e il resto lo aggiunge il giornalista. Il pericolo è questo: dare al lettore troppi “pezzi” leggeri, gossip, personaggi famosi, scandali e polemiche credendo che il lettore voglia solo quello. Credo che la carta stampata abbia perduto credibilità e lettori proprio perché ha inseguito forsennatamente questa strada invece di tentare il sentiero che corre un po’ più “alto”. Magari più faticoso, ma maggiormente gratificante: per il giornalista e per il lettore.

Mario Cervi è nato a Crema nel 1921, ma ha sempre vissuto a Milano, dove si è laureato in Legge. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, inizia a lavorare al «Corriere della Sera», prima come cronista, poi come inviato speciale. Grande amico e collega di Indro Montanelli, nel 1974 lo segue nella fondazione del «Giornale Nuovo», di cui sarà direttore dal 1997 al 2001. Lasciata la carica, continua a firmare commenti e fondi. Ha pubblicato nu-merosi libri, tra i quali Storia della guerra di Grecia e, con Montanelli, la celebre Storia d’Italia in tredici volumi e Milano ventesimo secolo.

Luigi Mascheroni
è nato a Varese nel 1967. Ha scritto per «Il Sole 24 Ore», «Il Foglio», «il Domenicale». Dal 2001 lavora al «Giornale». Insegna Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico all’Università Cattolica di Milano. Nel 2007 ha pubblicato Il clan dei milanesi.