Il Piccolo testamento di Dadati

piccolo-testamento-lauranaIl narratore di “Piccolo testamento” (Laurana, 2011) – breve romanzo del quale Gabriele Dadati non nasconde la matrice autobiografica – dorme accanto a una donna, Camilla, che non esita a definire la sua puttana, non perché lo sia tecnicamente o perché egli voglia per qualche motivo insultarla, ma per il semplice fatto che l’uso che entrambi fanno dell’altro è puramente strumentale, ossia legato al mero piacere dei corpi rispettivi.

Che sarebbe pure una situazione pacifica o desiderabile se non coincidesse con il punto finale di una “dissipazione” esistenziale. Camilla difatti scorta altre donne, la relazione con le quali è consapevolmente vissuta dal lucido protagonista come un fatto transitorio, essendo per così dire egli “morto all’amore” ossia alla vita dal momento che si esaurisce il rapporto con Marta, la ragazza da cui aveva finito con il farsi lasciare per evidente e ripetuta mancanza di “partecipazione”.

La presenza-assenza femminile con la quale il libro si apre e si chiude, è indiziaria di un’altra storia, quella che più al narratore preme raccontare, l’amicizia con un uomo che egli considera il proprio maestro e nello stesso tempo “garante” e testimone della sua crescita intellettuale e di scrittore. Crescita tanto più sicura quanto più gli fa perdere di vista il resto, fino al momento culminante che paradossalmente coincide con il vuoto: Vittorio, il critico che accompagna il suo esordio letterario, l’uomo che ha scelto (e da cui è stato scelto) per la sua iniziazione intellettuale, viene colpito da una malattia mortale. Prima il narratore ci ha raccontato la storia di questa amicizia, l’exemplum di un magistero che suona quasi come d’altri tempi. Vittorio, nome fittizio che nel Piccolo testamento adombra quello di Stefano Fugazza, scomparso qualche anno fa, concede al narratore una stima e un’amicizia robusta che fortificano il tempo sorgivo della sua carriera letteraria.

Il ritratto dell’intellettuale è pregevole. Le pagine della malattia e del funerale le migliori. Il lutto lascerà il narratore tramortito dalla sofferenza, ma non c’è nulla del dolorismo di certa letteratura corrente: allievo e maestro si erano scelti, prima di decidere verificandola nei fatti che la loro potesse essere più di una simpatia intellettuale, perché condividevano un’idea di rigore e impegno culturale. Acribia dell’apprendistato e fedeltà a una disciplina del leggere e dello scrivere, magistero che tiene insieme vita e letteratura, amicizia e metodo.

Ora, il romanzo di Dadati chiama per forza di cose una diretta verifica sul campo. Non credo che il problema dello scrittore piacentino sia d’essere “senza sangue” come egli stesso paventa – il sintagma se lo è intestato nel titolo di un suo romanzo un torinese che se lo merita tutto. Piuttosto, vale la pena domandarsi se – e succede spesso agli scrittori dotati della sua generazione – la minuziosa descrizione degli oggetti nasconda un bisogno ossessivo e forse illusorio di controllare la realtà, quasi a sperare nella precisione nominalistica una possibilità di salvezza. Qua e là, quando Dadati insiste a descrivere come mette precariamente su il proprio appartamento, immagini che il tutto abbia il valore di un’estesa metafora sulla “fabbricazione” di un sé, della propria autonomia, ma nell’economia narrativa del racconto l’ossessione per il dettaglio descrittivo non appare sempre indispensabile. Vale aggiungere che a parte la perplessità su alcune deviazioni, per cui forse il “romanzo” avrebbe potuto essere uno bellissimo racconto, Dadati è un passista delle storie: il suo è un ritmo sostenuto e senza cedimenti, la corsa è pulita, la plastica del gesto lodevole. L’esito paradossale del finale – il vuoto che resta all’uomo che ha imparato a guardare le cose, a de-scriverle, il turbamento dello scrittore che paga i suoi sforzi con la solitudine – dice solo che la maturità si paga, che la linea d’ombra si sarà anche spostata molto in avanti ma attraversarla procura la stessa pena di sempre

Gabriele Dadati, (Piacenza, 1982) ha pubblicato Sorvegliato dai fantasmi (peQuod, 2006; Barbera, 2008), premio Dante Graziosi e finalista come Libro dell’anno per Fahrenheit di Radio 3 Rai, e Il libro nero del mondo (Gaffi, 2009). Nel 2009 ha rappresentato l’Italia nel progetto Scritturegiovani di Festivaletteratura di Mantova. Collabora con Booksweb.tv e scrive su “Libertà”.

Autore: Gabriele Dadati
Titolo: Piccolo Testamento
Editore: Laurana
Anno di pubblicazione: 2011
Pagine: 128
Prezzo: 11 euro