Grandi speranze

lettere-condannati-amorteIn “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945” (Einaudi) a cura di Pietro Malvezzi e Giovanni Pirelli, l’operaio Bruno Pellizzari, ventitré anni partigiano nella Brigata Garibaldi Pino operante sull’Altipiano di Asiago (Vicenza), scrisse ai “cari genitori”. “Quando vi arriverà questa mia letterina, avrete già saputo quello che di me è stato fatto. Voglio che le ultime parole vengano a voi per consolarvi e per dirvi che io sono stato tranquillo fino all’ultimo momento”.

Bruno era stato catturato da elementi delle Brigate Nere l’ultimo giorno del ’44 e in seguito processato e condannato a morte. Sarà fucilato alle 7,30 del 20 gennaio 1945 a Chiesanuova, Padova, da un plotone fascista. “Non vogliate soffrire troppo; vostro figlio è andato in una vita migliore”. Al culmine della II Guerra Mondiale, dopo l’8 settembre del ’43 il nostro paese era diviso in due: Regno del Sud al meridione d’Italia e il Centro e il Nord della Penisola sotto il dominio nazista. 112 partigiani e patrioti, donne e uomini provenienti da differenti estrazioni sociali e culturali catturati dai fascisti o dai tedeschi quando intuirono che il loro destino era segnato scrissero ai loro familiari prima di essere condotti davanti a un plotone di esecuzione. Missive dunque “concepite nel momento più solenne della vita, un momento che non a tutti è dato di vivere, quando in pena lucidità e coscienza si è faccia a faccia con se stessi, in presenza della morte… ” così scrive nella nota introduttiva Gustavo Zagrebelsky.

La prima edizione del libro fu pubblicato nel 1953 nella collana I Saggi della casa editrice Einaudi. Da allora nel corso di quasi sessant’anni vi sono state 16 tra riedizioni e ristampe che dimostrano l’interesse sempre attuale e sollecito che un testo come questo può avere soprattutto nei confronti delle generazioni più giovani che non hanno mai conosciuto la guerra. Lettere che assumono il significato di testimonianza e monito. “Questo non è un libro, è stato detto, ma un’azione: l’ultima azione di 112 condannati a morte i quali conclusero la loro parte di lotta nei seicento giorni della Resistenza italiana comunicando ai familiari o ai compagni un’estrema notizia di sé, un addio, un mandato, un sigillo ideale”. (1)

Individui come Stelio Falasca studente diciottenne di Chieti, il Contrammiraglio genovese Luigi Mascherpa cinquantuno anni, Irma Marchiani staffetta partigiana fiorentina col nome di battaglia Anty, o Sabato Martelli Castaldi generale di Brigata Aerea originario di Cava dei Tirreni nostri conterranei, scelsero di combattere per un ideale, per una causa che ritennero giusta. Non furono eroi perché erano consapevoli dell’alto prezzo che la libertà a volte può comportare. Uomini e donne, giovani e meno giovani con grandi speranze, anelavano a un’Italia unita, repubblicana e democratica. Morirono affinché quest’aspirazione potesse presto compiersi e nelle lettere indirizzate ai loro cari, chiesero “conforto, memoria e anche perdono per una scelta compiuta che è causa di dolore, spiegata e giustificata come adesione necessaria a un valore superiore”. Leone Ginzburg 34 anni docente universitario esonerato nel ’33 dall’incarico per essersi rifiutato di prestare giuramento al Partito Nazionale Fascista, uno dei fondatori della Einaudi, appartenente al movimento Giustizia e Libertà e per questo assegnato al confino in Abruzzo nel 1940. Arrestato nel novembre ’43 a Roma nella tipografia clandestina fu tradotto nel braccio tedesco di Regina Coeli. Percosso e ridotto in fin di vita morirà in carcere il 5 febbraio 1944. “Natalia cara, amore mio, … e io non avrei un’ora di pace se ti sapessi esposta chissà per quanto tempo a dei pericoli, che dovrebbero presto cessare per te, e non accrescersi a dismisura”.

Nella prefazione di Enzo Enriques Agnoletti il partigiano e uomo politico annota che “in Italia la Resistenza non è stata un resistere, un tener duro, una volontà di non cedere… ma la gloria di partecipare, con quel bel nome di Resistenza, a un fenomeno europeo… ”. Il movimento di liberazione in Italia, perciò secondo chi l’ha vissuto attivamente non è stata una resistenza ma “è stato un attacco, una iniziativa, una innovazione ideale” nella quale “il tedesco è combattuto quasi unicamente perché incarnazione ultima del fascismo suo alleato e complice”.

Il 25 aprile è non solo festa della Liberazione: è festa della riunificazione d’Italia”. Con queste parole pronunciate durante il suo discorso al Teatro alla Scala di Milano lo scorso anno nel 65esimo anniversario della Liberazione, il Presidente Giorgio Napolitano ha tracciato un’ideale linea di connessione tra Risorgimento e Resistenza. “Quella unità d’Italia rappresenta oggi, guardando al futuro, una conquista e un ancoraggio irrinunciabili”.

(1) Franco Antonicelli, nella presentazione del 1973 dell’edizione Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945 nell’edizione gli Struzzi Einaudi.

Titolo: Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945 a
cura di Pietro Malvezzi e Giovanni Pirelli.
Nota introduttiva di Gustavo Zagrebelsky.
Prefazione di Enzo Enriques Agnoletti
Editore: Einaudi
Pubblicazione: 2005
Prezzo: 13 euro
Pagine: XVI – 356