Attorno a questo mio corpo

attorno-a-questo-miocorpoRitratti e autoritratti degli scrittori della letteratura italiana.  Il corpo e gli scrittori, meglio il corpo degli scrittori, visto da loro stessi o dallo sguardo indiscreto degli altri, degli amici, della critica, fra lettere e testimonianze, osservazioni fotografiche e dipinti, autorappresentazioni più o meno sincere: l’inventario delle possibilità è cospicuo, la quantità dei ritratti considerevole, la qualità degli stessi varia e difforme. “Attorno a questo mio corpo” (Hacca) a cura di Laura Pacelli, Maria F. Papi e Fabio Pietrangeli.

Impossibile dare conto di questo libro così corposo – è il caso di dire – nella sua interezza, ma l’assunto che lo informa è presto detto: tentare un’indagine a latere di un gran numero di scrittori italiani (meno scrittrici, inevitabilmente), da Dante al ‘900, partendo dai loro corpi, in intero o per dettagli più o meno eloquenti, più o meno indiziari, e approssimare così nuclei di significato della loro scrittura. Perché se in certi casi il rapporto è scontato e a forza di esserlo si è pure svilito il lascito di un’opera (lo si è fatto per almeno un secolo con Leopardi, tanto per entrare subito nel vivo), in altri è meno prevedibile, in apparenza secondario, ma in grado di segnare punti inaspettati.

Ogni singolo contributo del volume si avvale di un approccio diverso. Si parte con il sonetto autoritratto di Alfieri, nel quale egli tenta una descrizione sobria del suo aspetto, meno idealizzato di quello foscoliano. L’esercizio disegna il solito campo di battaglia senza il quale l’Astigiano non trova ragione di vita e di scrittura: un principio agonistico sottomesso al “forte sentire” degli opposti. Nemmeno ci risparmia nella Vita il racconto di sgradevoli travagli, dissenterie comprese, in un contesto di generale apprezzamento dell’attività fisica (cui non è estraneo il desiderio di recitare nelle sue stesse tragedie).

Per non andare troppo lontano nel tempo, è interessante rilevare come si insinui qualche perplessità nell’immagine consueta di Manzoni: i dipinti ci consegnano non solo l’evidenza della nota, apparentemente mansueta ritrosia dello scrittore, ma anche sfumature enigmatiche – quando esisteva ancora la critica letteraria si discuteva se il suo fosse un “romanzo senza idillio”, difatti. Lo stesso Manzoni non seppe però risparmiarsi uno stupidissimo giudizio sul più grande di tutti, il deforme anatroccolo di Recanati, la cui lucidità anti-italiana era troppo per chiunque non sapesse fermarsi al suo “meschino” aspetto (l’aggettivo è di De Sanctis – ma peggio disse il tedesco von Platen). Inutile ricordare ai candidi che sussumere in una disgrazia fisica una tragica prospettiva filosofica non ne inficia di un puntino la sensatezza.

Non tutti i ritratti sono ovviamente di uguale pregnanza – leggere ad esempio nella pinguedine della “foca” Manganelli una sigla della sua scrittura non mi sembra granché originale; e la sua grandezza eccede a mio avviso le definizioni di scrittore barocco o manierista. Così come puntare sulle fotografie di Pavese per capire se sapeva pure ridere, a fronte di una tragedia come la sua che con il corpo ha da fare eccome (e da perdere una guerra spietata), parrebbe un’applicazione digressiva.

Un bel ritratto è invece quello di Saba, un altro che come Alfieri si definisce a forza di dualismi: umile e scontroso, giovanetto che invecchia senza mai maturare (si può dire anche di Leopardi), aristocratico e volgare, volutamente trasandato, non privo di clichè da soma ebraico: naso aquilino, orecchie grandi e voce nasale. Riceveva gli ospiti in camicia da notte. Montale invece si fa ritrarre da Guttuso per vedere “come sta” ma di solito tende a ritrarsi, laddove il povero Dino Campana non può difendersi, nonostante le parvenza atticciata e aggressiva: la “catabasi orfica” della sua poesia è per noi ancora oggi il dono immeritato di una vittima sacrificale – fuori di testa da subito, vittima innanzitutto di se stesso.

Eccentrici per motivi diversi, altre figure del ‘900 si avvalgono di testimonianze dirette, dal “volto creaturale” di Sandro Penna descritto da Renzo Paris, all”ego ebbro e traballante” di Bellezza di cui Elio Pecora ricorda “la voce sopratono, l’abbigliamento bohémien”, nonché l’inimicizia con la Morante. Ecco, intrighi e veleni, duelli all’ultimo sangue fra scrittori: cercasi editore per un’altra storia(ccia) avvincente.

A cura di Laura Pacelli, Maria Francesca Papi e Fabio Pietrangeli
Titolo: Attorno a questo mio corpo
Editore: Hacca
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 24 euro
Pagine: 620

* Diritti dell’articolo di Michele Lupo