Il teatro della vita

la-fiera-della-vanitaIl romanzo La fiera delle vanità” (ora riedito da Garzanti con introduzione di Silvano Sabbadini) di William M. Thackeray inizia con l’arrivo di una elegante carrozza di fronte a Chiswick Mall, l’Istituto per Signorine diretto da Miss Pinkerton. Miss Amelia Sedley e Miss Rebecca (Becky Sharp) stanno per lasciare il collegio. Le ragazze sono molto diverse l’una dall’altra. Amelia, figlia di borghesi benestanti, è sensibile, dolce e canta come un usignolo, “le sue labbra fresche di sorriso e i suoi occhi scintillanti”.

Becky, che nel collegio insegnava francese, è figlia di un pittore e di una ballerina francese: “piccola e minuta, dal colorito pallido e dai capelli biondo rossicci, gli occhi molto grandi e molto attraenti”. Ella è pronta a tutto pur di farsi strada nella vita: arrivista nata, desidera conquistarsi a place in the sun nella rigida e classista società inglese di inizio Ottocento. Amelia vuole solo sposarsi con George Osborne al quale è da sempre stata promessa. Le loro storie, i loro diversi destini si intrecceranno in un filo invisibile che le legherà in quasi novecento pagine di romanzo nel quale accadrà di tutto: amore, guerra, pace, tradimenti, odio, vendetta.

Vanity Fair. A novel without a Hero apparve per la prima volta in venti puntate mensili su di una rivista tra il 1847 e il 1848, anno in cui fu pubblicato come libro. Thackeray, noto per le sue opere satiriche, ne La fiera delle vanità, considerato il suo capolavoro, descrive la rigida società patriarcale e maschilista inglese. Il romanzo è moderno perché non ci sono né eroi né tanto meno eroine, né il tanto sospirato happy end. Su tutti domina la figura di Becky Sharp, la quale con sorridente perfidia si diverte nel manipolare le persone secondo i suoi desideri. Sigmund Freud direbbe che Becky da adulta desidera tutto quello che non ha avuto da piccola, cioè sicurezza economica e prestigio sociale. E siccome, come dice il proverbio, tutto è lecito in amore e in guerra e la vita non è altro che una lotta quotidiana, la nostra amorale anti eroina priva di qualsiasi scrupolo tenacemente persegue il suo scopo: assicurare a se stessa una sempre maggiore stabilità e sicurezza. È una donna che rimane sempre fedele a se stessa, affascinante, straordinariamente moderna, attuale, lontana anni luce dalle figure femminili di Miss Austen. Non c’è in Becky una traccia di ragione e sensibilità, né di orgoglio né di pregiudizio. Non assomiglia nemmeno alla romantica Jane Eyre di Charlotte Bronte pubblicato nello stesso anno di Vanity Fair. Lo scrittore aveva compreso che la vita non è una favola e la palma del vincitore non spetta solitamente alle persone oneste e buone, anzi spesso sono i cattivi che prevalgono.

Nel libro la grande storia fa la sua apparizione. È il 18 giugno 1815 e in Belgio si sta per combattere una battaglia che segnerà i destini del continente europeo. Vicino alla cittadina di Waterloo nel territorio del villaggio belga di Moint Saint – Jeane le truppe napoleoniche e gli eserciti della settima coalizione si affrontano in una delle più cruenti battaglie del secolo. Qui la stella di Napoleone tramonta definitivamente e nello stesso luogo muore il capitano dell’esercito George Osborne marito di Amelia. Da quel momento le esistenze delle protagoniste cambieranno radicalmente. La remissiva Amelia vittima della crudeltà della vita troverà infine conforto nell’amore fedele del Capitano Dobbin, la cui bontà fa da contrasto con l’egoismo di Becky.

Nel palcoscenico del romanzo molti sono i personaggi che prendono parte alla rappresentazione: ci sono i nobili britannici alteri e vanagloriosi, gli appartenenti alla spregiudicata emergente borghesia britannica, i militari come il marito di Becky Rawdon Crawley (non propriamente un modello da imitare). L’autore sembra volerci dire che la vita è come un mercato, una fiera dove gli esseri umani espongono il bene e il male di loro stessi, spacciandolo spesso per verità. In questo sta la grande lezione di vita e la grande modernità di Vanity Fair: nella Londra fastosa e rutilante di luci di metà Ottocento, William M. Thackeray aveva già compreso come gira il mondo.

William Makepeace Thackeray nacque il 18 luglio 1811 a Calcutta, in India, dove il padre lavorava come segretario per la Compagnia Inglese delle Indie Orientali, e morì a Londra il 24 dicembre 1864. Ancora molto giovane venne mandato in Inghilterra dove studiò presso il Trinity College di Cambridge, ma interruppe la carriera accademica durante il suo secondo anno. Dopo vari viaggi nel continente intraprese la carriera di giornalista. Iniziò come scrittore satirico e di parodie. Nel 1839 pubblicò a puntate sul Fraser’s Catherine e nel 1844 Le memorie di Barry Lindon.

Autore: William M. Thackeray
Titolo: La fiera delle vanità
Editore: Garzanti
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 19,50 euro
Pagine: 889