Ricordando mio padre. Intervista ad Umberto Ambrosoli

ambrosoliIn “Qualunque cosa succeda” (Sironi Editore, 2009), prefazione di Carlo Azeglio Ciampi, il figlio minore Umberto, a trent’anni dall’omicidio, traccia la figura del proprio padre attraverso i ricordi da bambino. E quelli dei familiari, degli amici e collaboratori paterni, rileggendo le agende di Ambrosoli, le carte processuali e guardando i filmati dell’archivio Rai. “… Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo“.
E ancora: “Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto (…). Abbiano coscienza dei lori doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa“. Queste le frasi più significative della lettera-testamento, datata 25 Febbraio 1975, che l’avvocato Giorgio Ambrosoli, scrisse alla moglie Anna Lorenza, e che lei un giorno scoprì tra le sue carte, consapevole dei rischi che il suo lavoro di commissario unico liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, oberata di debiti, comportava.

Quattro anni dopo aver scritto quella lettera Giorgio Ambrosoli, la notte tra l’11 e il 12 Luglio 1979 venne ucciso sotto il portone di casa da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, come venne accertato, mentre la moglie, con i tre figli, si trovava in vacanza. Corrado Stajano nel suo libro definisce Giorgio Ambrosoli “Un eroe borghese“, Fabrizio Bentivoglio, nel film omonimo per la regia di Michele Placido impersona questo avvocato per nulla incline ai compromessi.

Dietro si muove l’Italia con la drammatica storia di quel periodo: gli “anni di piombo”, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, le lotte sociali e politiche, mentre un uomo, lasciato solo proprio da quello Stato da cui aveva ricevuto l’incarico e al quale aveva giurato di servire, prosegue nel suo lavoro, malgrado le minacce di morte esplicite, sapendo che la sua vita è appesa ad un filo.

Avvocato Ambrosoli, come ha maturato l’idea di scrivere un libro su Suo padre e quali ricordi conserva di lui?
“Ritengo che l’esempio di papà sia paradigmatico di cosa possa voler dire essere uomini, cittadini, professionisti e di cosa significhi avere consapevolezza del proprio ruolo nella società, del valore della propria libertà. Oggi, a mio parere, è necessario proporre esempi di questo genere: di un modo “altro” di essere, vivere, agire. Quanto ai ricordi, va detto che quando mio padre è stato assassinato io avevo quasi otto anni: non ho tantissimi episodi nella mia memoria, ma quelli che conservo sono tutti molto sereni. Per scrivere la sua storia ho dovuto aggiungere ai miei ricordi il contenuto di documenti e memorie altrui. Penso che alla fine sia uscita, anche per gli aspetti meno pubblici, un’immagine concreta e veritiera di come fosse papà.”

La prefazione del libro è affidata al Presidente Ciampi che ha lavorato per 47 anni in Banca d’Italia e nel 2001 ha conferito la medaglia al valore civile alla memoria a Giorgio Ambrosoli. Egli, riferendosi a Suo padre, cita una frase di Orazio “Non omnis moriar”. Perché ha voluto che fosse l’ex Presidente della Repubblica a formulare la prefazione?
“Ciampi è, fra gli uomini delle istituzioni, uno di quelli che maggiormente si è adoperato per tenere vivo ed onorare il ricordo di Giorgio Ambrosoli: non solo da Presidente della Repubblica, ma già prima, come Direttore Generale della Banca d’Italia. Ritengo, inoltre, che Ciampi sia uno dei pochi esempi di uomo dello Stato: cioè di tutti e non di una parte, e che abbia affrontato proprio con questo spirito le diverse responsabilità pubbliche che ha assunto.”

Una notte ha assistito ad una delle tante telefonate minatorie che arrivavano al telefono di casa. Suo padre cercò di tranquillizzarla dicendole “Stai tranquillo Betò io morirò vecchietto nel mio letto di Ronco“. Com’era l’atmosfera che si respirava allora nella Sua famiglia e cosa rappresentò per Giorgio Ambrosoli bambino la casa di Ronco di Ghiffa?
“Nel libro ho cercato di rappresentare la serenità che ha regnato, nonostante le tensioni che viveva papà, nella nostra casa. Penso che questo sia stato possibile per più ragioni: da un lato il carattere e le qualità dei miei genitori, dall’altro la capacità che papà ha mantenuto anche nei momenti più difficili, di continuare a svolgere con attenzione il proprio ruolo di genitore: anche nelle piccole cose (accompagnare i fratelli e me a scuola, occuparsi attivamente negli organismi scolastici, ecc…). Ecco, egli non ha mai permesso al suo lavoro difficile, pericoloso e generatore di ogni tensione di divenire tutto della sua vita. E’ stato un padre presente, e il ricordo che ho di lui è quello di una persona serena. Ronco è il luogo dove papà ha vissuto una parte importante della propria infanzia, durante la guerra: è li che ha iniziato, giocando a nascondino, a vivere “la regola” non come un fardello, ma come il presupposto imprescindibile dello stare assieme, del divertimento nel gioco.”

La Sua vita cambiò all’improvviso il 12 Luglio del 1979 e il resoconto di quei momenti sono tra le pagine più toccanti del libro. Le serate passate ad ascoltare le voci dietro la porta chiusa del salotto. Assistere alle udienze e cercare di capire cosa c’era dietro al suo assassinio è stato uno dei Suoi principali obiettivi?
“Cercare di capire è stato, penso, il mio modo per elaborare la morte di papà. Origliare, prima nascosto dietro una porta, e partecipare, poi, alle riunioni tra la mamma e gli amici di famiglia in occasione delle indagini e del processo per l’omicidio di papà, informarmi sui giornali, presenziare (anche se avevo 14 anni) alle udienze, ecc… sono tutte manifestazioni di quella esigenza: capire cosa era successo, collocare le ragioni della sua morte nella loro cornice.”

Nell’Italia di oggi Suo padre sarebbe rimasto nuovamente solo? Possiamo considerarlo un uomo profondamente libero, lontano da qualsiasi compromesso?
“Penso che la solitudine di allora di mio padre oggi, con molta probabilità, si ripeterebbe. La ragione è semplicissima: oggi come allora il rispetto delle regole è qualcosa nel quale credono in pochi e che -quasi- non è promosso da nessuno che ricopra incarichi di responsabilità nel mondo politico. La regola non è vissuta come uno strumento per la migliore organizzazione della collettività, ma come un onere inutile. E l’elusione della regola, al contrario, è vissuto come lo strumento per affermarsi prima e meglio: “che gli stupidi, gli ingenui, seguano le regole, io non facendolo otterrò quello che desidero”, sembra questo il pensiero dominante.”

Eppure le regole sono una componente essenziale dello Stato, e non osservarle significa negare il valore dello Stato stesso.
“Come disse Corrado Stajano, nel suo libro “Un eroe borghese” Giorgio Ambrosoli era una persona animata da un moderato legalitarismo: non ha fatto quello che ha fatto interpretando il ruolo del combattente di una guerra santa, ma ha riconosciuto il primato dello Stato ed ha messo la propria professionalità al servizio dello Stato. Il suo incarico era stato rifiutato da altri che avevano chiara la dimensione dell’impegno e del cupo ginepraio nel quale avrebbero dovuto mettere mano; papà, invece, che quelle cose le aveva altrettanto chiare, ha accettato la responsabilità del mandato di Commissario liquidatore vivendola come la “opportunità di fare qualcosa per il Paese”.”

Il gesto consapevole di Giorgio, quello di continuare per la sua strada nonostante tutto rimane un esempio sempre attuale per tutti noi che in questi trent’anni abbiamo visto il susseguirsi di una serie infinita di scandali finanziari?
“Si, nel libro racconto le testimonianze di alcuni che mi hanno detto come l’esempio di papà sia stato per loro di aiuto nel momento in cui si sono trovati ad affrontare delle scelte difficili. Se una storia vecchia di trenta anni è -come questa- ancora oggi evocata ad esempio da molti, forse è proprio perché ci rendiamo conto che nell’attualità trovare qualcuno che sappia tenere dritta la barra del timone innanzi alle tempeste più violente non è cosa comune. La storia di questi anni, mi riferisco ad esempio alla vicenda Cirio, o a quella dell’ex Banca Popolare di Lodi, dimostra che le insidie di un certo modo di fare finanza, unito ad un certo modo di fare politica, sono sempre tante e pericolose.”

Avvocato Ambrosoli, da molti anni si reca nelle scuole italiane portando la testimonianza e l’impegno di papà Giorgio. Quali sono le curiosità più ricorrenti degli studenti?
“All’inizio degli incontri i temi ricorrenti sono legati all’assenza di un scorta posta a tutela di papà, all’assenza delle istituzioni al suo funerale. Poi però, approfondendo la storia, il tema di dibattito si sposta sul fatto che quell’esempio dimostri come veramente sia affidata a ciascuno di noi la costruzione del Paese nel quale vogliamo vivere. È un argomento importante, che coinvolge gli studenti: che contribuisce a farli sentire partecipi. Il Betò di allora è diventato adulto, ha tre figli, uno dei quali si chiama Giorgio. “Cari Giorgio, Annina e Martino, vorrei raccontarvi una storia…” Così inizia il Suo libro.

Cosa racconterà ai Suoi figli del loro nonno, e quali valori ha ricevuto e desidera trasferire di un uomo che ha lavorato solo nell’interesse del proprio Paese?
Quando sono diventato padre ho iniziato a pormi domande tipo: “cosa ritengo sia veramente importante trasmettere ai miei figli? Cosa posso insegnare loro per aiutarli a vivere fino in fondo la loro esistenza?”. La risposta, penso, è proprio nell’esempio di mio padre: la storia più bella che io possa tramandare a loro per aiutarli ad affrontare la vita nella maniera più piena, cioè senza abdicare alle responsabilità, facendosi carico dei problemi degli altri (che siano singole persone o la collettività), avendo rispetto di se stessi, della propria libertà di determinarsi.

Umberto Ambrosoli nato nel 1971 è il terzo figlio di Giorgio Ambrosoli e svolge la professione di avvocato penalista a Milano. Da anni partecipa ad incontri nelle scuole italiane, a convegni, a iniziative pubbliche volte a dare maggior valore e risalto alla figura e al lavoro del padre. “Qualunque cosa succeda” è il suo primo libro.